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I parti sono sempre più medicalizzati con episiotomia, infusioni di ossitocina e manovre invasive. È la denuncia della campagna “Basta tacere”, per mezzo della quale le donne hanno raccontato la loro esperienza negativa rispetto a un evento, il parto, che dovrebbe essere positivo. I rischi per la salute di un parto troppo medicalizzato erano comunque già stati evidenziati in più occasioni dall’Istituto Superiore di Sanità e da molte organizzazioni internazionali. Ma ora qualcosa si muove per limitarlo.
#bastatacere
La campagna #BastaTacere è stata lanciata nei social qualche mese fa da Elena Skoko e Alessandra Battisti del Network internazionale “Human rights in childbirth” (Diritti umani alla nascita), dove si invitavano le donne che avevano subito “violenza ostetrica” a raccontare la loro storia. È nato poi l’OVOItalia, l’Osservatorio sulla Violenza ostetrica in Italia, organismo multidisciplinare per monitorare l’incidenza delle pratiche che costituiscono questo tipo di violenza ai danni delle donne nel loro percorso di maternità. Per continuare a raccogliere le testimonianze di violenza ostetrica in modo sistematico, OVOItalia ha predisposto un questionario sulla violenza ostetrica, che si può compilare on line. I dati provenienti dal questionario saranno resi pubblici tramite report periodici curati da OVOItalia.
La nascita non è più un fatto naturale
Il parto spesso non è vissuto negli ospedali come un evento fisiologico e molte donne subiscono trattamenti non richiesti come la Kristeller (la spinta del medico sulla pancia per far uscire il bambino), l’episiotomia (il taglio della vagina per favorire l’uscita del piccolo) o l’induzione con l’ossitocina. Questi interventi sulla donna possono provocare danni permanenti tra i quali incontinenza urinaria, problemi al pavimento pelvico e depressione. Lo hanno denunciato migliaia di donne con la campagna “Basta tacere”.
Già la gravidanza è troppo medicalizzata
“È documentato l’eccesso di ecografie in gravidanza, l’assenza di possibilità di movimento per la donna che sta partorendo, l’induzione del travaglio, l’episiotomia in quasi la metà dei casi”. A parlare è Michele Gandolfo, epidemiologo, ex dirigente di ricerca dell’Iss, tra gli ideatori del Pomi, Progetto obiettivo materno infantile che ha riorganizzato il percorso nascita e i consultori, in gran part, però, rimasto inapplicato. Dal 1996, diversi studi hanno mostrato questa situazione disfunzionale come il rapporto ISTISAN del 2011.
allattamento compromesso
“Quando il bambino nasce, si raccomandano il contatto pelle-pelle e l’attacco al seno entro la mezz’ora eppure questo capita solo al 50% delle donne – spiega ancora Gandolfo -. È vietata la prescrizione del latte artificiale alla dimissione, ma accade ancora nel 20% dei casi con un effetto deleterio sull’allattamento al seno”.
Non migliora la qualità delle cure
“Queste conoscenze scientifiche – continua Gandolfo – sono consolidate da trenta anni, ma in Italia non sono seguite. È legittimo ritenere che medicalizzando aumenti la qualità delle cure e la sicurezza, ma questo non si è dimostrato veritiero, anzi ci sono degli effetti dannosi. Bisogna comprendere la fisiologia del travaglio, tutto ciò che può determinare stress va evitato. Le procedure salvavita come il cesareo (Il parto cesareo rende i bambini più vulnerabili) – conclude l’esperto – se non indicate creano problemi”.
Le linee guida ci sono, ma disattese
In Italia ci sono le linee guida nazionali sul parto fisiologico che prendono le mosse dalle raccomandazioni internazionali: non gestire il travaglio con monitoraggi continui del battito fetale che aumentano i falsi positivi e inducono a pensare che ci sia un problema, non indurre il parto con ossitocina a meno di problemi medici e consentire che le donne possano muoversi liberamente. “Parlare solo di umanizzazione del parto non è corretto – spiega Enrico Vizza, segretario nazionale della Sigo (Società Italiana di ginecologia e ostetricia) – bisogna assicurare alla donna un parto naturale, umano e i requisiti minimi di sicurezza, che oggi non ci sono”.