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L’attesa di un figlio è un momento magico nella vita di una coppia. Il rapporto con i servizi sanitari, invece, può essere molto meno felice. Gli ostacoli, infatti, che i futuri genitori possono trovare lungo il loro cammino, dall’avvio della gravidanza fino al parto, non sono pochi. E proprio questo cammino è al centro di una rilevazione, intitolata “Percorso nascita, indagine civica sulle prestazioni sanitarie. Focus sugli screening neonatali”, che è stata condotta da Cittadinanzattiva in 51 ospedali in Italia (31 presidi ospedalieri, 12 Asl, 5 policlinici universitari, 2 strutture accreditate convenzionate, un istituto di ricovero e cura), differenti per numero di parti (da quelle con meno di 500 nascite all’anno a quelle che superano le 2.500). L’indagine ha riguardato ospedali in tutta Italia (il 30% al sud, un altro 30% alle isole, il 22% al centro e il 18% al nord) e ha monitorato in particolare l’accesso ai servizi sanitari ospedalieri, la continuità delle cure, il miglioramento della salute della donna e del nascituro (e quindi il parto in analgesia, il rooming in, l’allattamento al seno) e l’accesso alle procedure diagnostiche neonatali.
I tempi di attesa per gli esami nei 9 mesi
I tempi di attesa degli ospedali in Italia per accedere alle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale eroga gratuitamente alle donne incinte fino al parto (prima visita ginecologica, ecografia ostetrica ed ecografia morfologica) possono variare, anche sensibilmente, tra pubblico e intramoenia, ossia quelle prestazioni erogate dai medici e/o psicologi di una struttura sanitaria pubblica, al di fuori dell’orario di lavoro, che utilizzano gli ambulatori e gli strumenti diagnostici dell’ospedale stesso, a fronte del pagamento di una tariffa da parte del paziente. Ma non basta: grosse differenze ci sono anche nell’ambito della stessa Regione, persino tra realtà ospedaliere che hanno il medesimo numero di parti all’anno.
Da 1-2 giorni a 200 per un’ecografia
Prendiamo per esempio, i tempi di attesa per l’ecografia ostetrica: alcuni centri la garantiscono in 10-15 giorni, mentre in altre strutture l’attesa può arrivare fino a 90 giorni (o addirittura superare i 200 giorni!), quando cioè non ha più alcun senso diagnostico. In intramoenia, invece, le strutture riescono a erogarla in un arco di tempo che va da 1-2 giorni a un massimo di 10-15 giorni. Stessa “variabilità” per quanto riguarda un altro esame diagnostico, l’ecografia morfologica: nel “pubblico” si va da un minimo di 8 giorni di attesa a un massimo di 78 (nelle strutture con meno di 500 parti annuali), di 90 (nelle strutture con un numero di parti compreso tra 500 e 800) e di 104 giorni (nei centri con un più elevato numero di nascite).
epidurale solo se l’ora è “giusta”
Interessante anche il dato che emerge a proposito del parto in analgesia: se è vero che viene erogato nel 72 per cento dei punti nascita, solo le strutture con più di 2.500 parti all’anno garantiscono 24 ore su 24 il servizio di anestesia epidurale, mentre in quelle più piccole questa possibilità è garantita solo in un caso su 5. Come dire… anche per partorire sarebbe bene scegliere l’ora giusta! Ma c’è di più: anche per l’erogazione dell’epidurale esiste una grande variabilità tra le regioni: la Valle d’Aosta e il Friuli Venezia Giulia garantiscono il parto in analgesia in tutti i propri punti nascita, seguite dal Trentino con l’86,7 per cento e dalla Toscana con l’84,2 per cento. In fondo alla lista, invece il Molise, che non lo prevede in nessuno dei suoi punti nascita, e la Sicilia, che lo esegue nel 6,2 per cento dei suoi ospedali. La Calabria, la Campania e l’Abruzzo non superano la copertura del 30 per cento, mentre il Lazio è fermo al 38 per cento.