Argomenti trattati
Più si avvicina la data presunta del parto, più aumentano i dubbi della futura mamma. Tra i più frequenti c’è quello relativo alla capacità di riconoscere i segnali del travaglio e di come capire quando andare in ospedale per partorire.
Come si capisce che manca poco al parto?
Per tranquillizzarsi è utile sapere che già diverse ore prima della nascita, si evidenziano alcuni segnali inconfondibili che danno la possibilità di raggiungere per tempo e senza correre alcun rischio la struttura in cui si è scelto di partorire.
Piuttosto spesso, del resto, l’agitazione che in questa fase tende a cogliere la gestante (specie se al primo figlio), la può rendere un po’ troppo impaziente, portandola ad anticipare eccessivamente il trasferimento, mentre sarebbe più opportuno trascorrere la prima parte del travaglio nell’intimità della propria casa, affiancata dal partner o da altri famigliari, e andare in ospedale soltanto in presenza delle caratteristiche manifestazioni che annunciano l’imminenza del parto: contrazioni forti e ravvicinate, perdita del tappo mucoso o rottura del sacco amniotico. Fondamentale, infatti, è ricordare che il travaglio tende a durare una media di 12 ore nelle primipare e di 6/8 ore in chi ha già partorito. Ecco come capire quando andare in ospedale per partorire con l’aiuto della dottoressa Daniela Fantini, ginecologa presso il consultorio Cemp di Milano.
Quante contrazioni prima di andare in ospedale?
Di solito, le prime contrazioni dell’utero (simili ai crampi mestruali) compaiono già a cominciare dal 5°- 6° mese di gravidanza: si tratta, in realtà, di “false contrazioni” (dette di Braxton-Hicks) che hanno lo scopo di predisporre l’utero al travaglio e sono contraddistinte da irregolarità, durata variabile e assenza di dolore.
Le contrazioni “vere”, che stimolano il progressivo accorciamento e dilatazione del collo dell’utero, segnalando in questo modo l’effettivo avvio del travaglio, sono invece molto ben riconoscibili: in particolare esse divengono via via più regolari ripetendosi a intervalli che non superano i 2-6 minuti, aumentano gradualmente di intensità (divenendo sempre più dolorose), durano indicativamente dai 30 ai 60 secondi, non si attenuano se si cambia posizione (come succede con le “false contrazioni”), il dolore viene percepito a livello del basso addome, spesso con origine in zona lombare.
Di norma, si raccomanda di trasferirsi in ospedale dopo circa 1 o 2 ore dall’avvio di queste contrazioni forti e regolari.
Quando si partorisce dopo avere perso il tappo?
Un altro segnale chiave dell’avvio del travaglio è rappresentato dalla perdita del tappo mucoso composto da una sostanza giallastra e vischiosa, che chiude il collo dell’utero, svolgendo la funzione di barriera protettiva per il feto rispetto al rischio di risalita di batteri vaginali che potrebbero provocare infezioni. In alcuni casi risulta molto piccolo e può passare del tutto inosservato. Nel momento in cui l’utero comincia ad ammorbidirsi e a dilatarsi in vista del parto imminente, il tappo mucoso si stacca e viene espulso attraverso la vagina senza alcun dolore. A volte capita che ciò accada diversi giorni prima della nascita: se subito dopo la perdita non si registrano contrazioni intense e regolari non è, comunque, necessario trasferirsi in ospedale anche se, per precauzione, va consultato il proprio ginecologo. Nel caso nel corso della gravidanza si verifichi un accorciamento graduale del collo dell’utero (minaccia di parto pre-termine ()), il tappo potrebbe, invece, “sfaldarsi” progressivamente venendo eliminato pian piano.
Che cosa succede dopo che si sono rotte le acque?
La cosiddetta “perdita delle acque” consiste nella rottura delle membrane che compongono il sacco amniotico con la conseguente fuoriuscita del liquido amniotico in esso contenuto. Può verificarsi lentamente tramite un progressivo sgocciolio oppure all’improvviso attraverso un unico fiotto di liquido caldo, in genere trasparente e inodore.
Nella maggior parte dei casi il sacco si rompe nella fase avanzata del travaglio, quando la futura mamma si è già trasferita in ospedale e il collo dell’utero ha ormai raggiunto un buon livello di dilatazione (almeno 6-7 dei 10 centimetri complessivi).
Fonti / Bibliografia
- A che cosa servono placenta, cordone ombelicale e sacco amniotico | Humanitas SaluteLa placenta, il cordone ombelicale e il sacco amniotico sono tre componenti fondamentali per lo sviluppo del feto in utero e rappresentano un vero e proprio sistema di supporto vitale. Ne parliamo con gli specialisti di Ginecologia e Ostetricia di Humanitas San Pio X. Che cos’è la placenta La placenta è un organo temporaneo che … Continua a leggere