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Scoprire di avere un tumore genera sempre un turbinio di emozioni e dolore. A maggior ragione in gravidanza, quando alle preoccupazioni “normali” si aggiungono quelle per la salute del bebè. Ma a differenza di quanto credono in molti, non in tutti i casi la donna è costretta a scegliere fra la propria vita a quella del bambino. La conferma arriva da due recenti studi presentati nel corso del congresso della Società Europea di Oncologia medica (Esmo), che si è tenuto lo scorso settembre a Madrid.
Il primo studio su 76 bimbi piccoli
La prima ricerca ha riguardato 76 bambini con un’età media di due anni. Metà di loro è nata da mamme che durante la gravidanza sono state sottoposte a cure anti-tumorali, specialmente chemioterapia, mentre metà da donne sane che nel corso dei nove mesi di attesa non hanno dovuto seguire particolari cure. Tutti i bebè sono stati sottoposti ad alcuni accertamenti ed esami. Lo scopo era valutare le loro condizioni di salute. Ebbene, analizzando i risultati, gli autori hanno scoperto che i due gruppi di bambini non presentavano differenze significative. Infatti, sia lo sviluppo mentale sia quello cardiaco erano del tutto simili.
La seconda ricerca su 16 bambini e 10 adulti
Il secondo studio ha coinvolto 16 bambini e 10 adulti che erano stati esposti a radioterapia: i primi indirettamente, durante la vita intrauterina, perché le loro mamme erano malate di tumore; i secondi direttamente. Anche in questo caso, gli studiosi hanno esaminato le condizioni di salute dei volontari ricorrendo a varie indagini. Hanno così scoperto che la salute generale, lo sviluppo neuropsicologico e lo sviluppo comportamentale erano nella norma in tutti i soggetti, tranne in uno, che però potrebbe aver subito l’influenza di altri fattori negativi.
Meglio presto o tardi? Dipende
Gli esperti riuniti in occasione dell’Esmo hanno concluso che non sempre gravidanza e cure anti-tumorali sono inconciliabili. Le donne costrette a subire i disagi e la preoccupazione della malattia, quindi, non devono affrontare la scelta dolorosissima fra la propria salute e quella del bambino. “Il messaggio principale per le donne è che la scelta non è inevitabile e in molti casi ci sono altre opzioni da tenere in considerazione. Abbiamo visto, per esempio, che per i tumori del seno e del sangue, i più comuni in questa fascia di età, almeno alcuni farmaci non danneggiano i bambini se somministrati dopo il primo trimestre di gravidanza. Fanno eccezione la leucemia acuta, che va trattata già nel primo trimestre, e i tumori della cervice uterina, troppo vicini al bambino” spiega Frederic Amant del Policlinico belga di Lovanio. Se la mamma deve essere curata con la radioterapia, invece, è meglio intervenire il prima possibile: più il bebè è piccolo, infatti, e meno probabilità ha di essere colpito dalle radiazioni. Nel terzo trimestre, trattare alcune patologie, come il tumore al seno, diventa complicato visto che in genere la testa del piccolo è verso l’alto.