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Le tracce dell’esposizione al fumo di sigaretta in gravidanza rimangano nel bambino per molto tempo. Anche per anni. Danni rilevabili nel sangue del bambino con un semplice prelievo. È quanto emerso da uno studio americano. Un motivo di più per smettere di fumare non appena si scopre di aspettare un bebè.
Un esame del sangue
Lo studio condotto dai ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, USA, e pubblicato sulla rivista scientifica “Environmental Research”, ha evidenziato che la nicotina, e le altre sostanze contenute nelle sigarette, producono delle modificazioni molecolari desumibili dall’analisi del sangue del bambino anche per molto tempo dopo il parto. Per giungere a questi risultati, sono state studiate delle particolari molecole corporee, completando così una ricerca precedente che aveva messo in correlazione la quantità di un determinato marchio epigenetico nel corpo del bambino e la probabilità che la madre avesse fumato durante la gravidanza.
Il sangue “memorizza” il fumo
I ricercatori statunitensi hanno utilizzato i campioni di sangue di 531 bambini in età prescolare, provenienti da diverse zone degli Stati Uniti d’America e hanno interrogato le rispettive madri circa le loro abitudini durante la gravidanza. A distanza di cinque anni, il sangue dei bimbi conteneva ancora la memoria del fatto che la mamma avesse fumato, la cosiddetta Metilazione, ovvero un fattore epigenetico consistente nell’aggiunta di un gruppo metile a un gene. Le tracce dell’esposizione al fumo di sigaretta, rappresentate da 26 punti di metilazione (modificazioni reversibili del Dna) erano evidenti anche a distanza di cinque anni dalla nascita nell’81% dei casi.
Non solo sigarette
“L’esposizione a sostanze tossiche interessa non solo il fumo di sigaretta, ma anche agenti chimici presenti nelle plastiche o contaminanti presenti nelle acque che beviamo – sottolinea Margaret Daniele Fallin, coordinatrice della ricerca – L’intenzione degli studiosi – aggiunge – è capire come le sostanze cui l’essere umano è esposto durante la vita intrauterina possano influenzare la comparsa di patologie come autismo, obesità e disturbi cardiovascolari”.
Aumenta il rischio autismo?
“Sarebbe importante comprendere se le esposizioni durante la vita intrauterina siano in qualche modo collegate allo sviluppo dell’autismo” commenta ancora Fallin, che dirige il Wendy Klag Center for Autism & Developmental Disabilities presso la Johns Hopkins Bloomberg School’s. “Dobbiamo capire il significato delle tracce da noi scoperte – conclude -. Cosa vogliono dirci? Sono la causa dello sviluppo con il passare degli anni di patologie croniche o hanno un significato diverso?”