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Il tri-test
È un test di screening prenatale, cioè un esame che non fornisce la certezza di identificare tutti i feti affetti da una anomalia, ma consente di valutare l’opportunità di eseguire una serie di esami di diagnosi prenatale (come l’amniocentesi), più approfonditi e precisi. Si effettua attraverso un prelievo di sangue materno, con lo scopo di analizzare tre sostanze prodotte dalla placenta e dal feto: l’alfafetoproteina, l’estriolo non coniugato e la gonadotropina corionica umana. Confrontando questi tre dati con l’età materna è possibile individuare le donne più a rischio di avere un bambino affetto da difetti di chiusura del tubo neurale (come la spina bifida), da sindrome di Down o da altre anomalie cromosomiche. Si esegue tra la 15a e la 17a settimana di gravidanza e non comporta rischi per la futura mamma o per il feto. L’affidabilità del test è del 60 per cento circa.
L’amniocentesi
L’amniocentesi è un esame di diagnosi prenatale, che indica cioè con certezza se il piccolo è affetto o meno da un’anomalia cromosomica. Si effettua prelevando una piccola quantità di liquido amniotico, nel quale è immerso il feto nei nove mesi. Il periodo ideale per eseguire l’amniocentesi è tra la 15a e la 18a settimana di gravidanza. L’esame viene eseguito con un ago sottilissimo, fatto passare attraverso l’addome della futura mamma fino a raggiungere il sacco amniotico e il liquido amniotico, nel quale sono presenti le cellule di sfaldamento del feto (che si sono cioè staccate spontaneamente), provenienti dalla pelle, dalle mucose e dalle vie urinarie. Questa operazione viene fatta da personale specializzato molto lentamente e sempre sotto la guida ecografica, in modo da trovare il punto migliore nel quale inserire l’ago, senza creare danni al feto. L’introduzione dell’ago provoca una sensazione non dolorosa, abbastanza simile al fastidio di una iniezione intramuscolare. L’amniocentesi è un esame invasivo, che comporta un rischio di aborto spontaneo tra lo 0,5 e l’1 per cento.
La cordocentesi
Viene chiamata anche funicolocentesi. Si tratta di una tecnica invasiva, che comporta un rischio di aborto spontaneo pari a circa un caso su 150 ed è per questo che non si effettua di routine ma solo in certi casi. Consiste in un prelievo di sangue eseguito sul cordone ombelicale a partire dalla 20a settimana di gravidanza. Si effettua sotto controllo ecografico e richiede due operatori: un ecografista e un medico che esegue il prelievo (che dura pochi minuti e non è doloroso). Il cordone ombelicale è raggiunto attraverso la pancia con un ago sottile e, dopo l’esame, la donna deve restare in osservazione per qualche ora.
La cordocentesi può essere proposta quando l’ecografia morfologica ha evidenziato anomalie, che si riscontrano con più facilità nei bambini affetti da sindrone di Down, da approfondire con un esame specifico.