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È una condizione meno grave di altre, eppure ancora oggi spaventa molti genitori. Ecco perché sono tantissime le coppie che decidono di sottoporsi ai test di screening prenatale per capire se il feto è a rischio di sviluppare la sindrome di Down. Fra questi, il più affidabile sarebbe quello sul Dna fetale nel sangue materno. Questa, perlomeno, è la conclusione cui è giunto uno studio condotto recentemente da un team di ricercatori statunitensi, dell’università della California di San Francisco, pubblicato sul New England Journal of Medicine.
È un test sul sangue della mamma
Il test sul Dna fetale consiste in un prelievo e in un’accurata analisi del sangue della mamma. Occorre sapere, infatti, che il sangue materno contiene parte del Dna della placenta del nascituro, che in genere è quasi uguale a quello fetale. Ricorrendo ad apposite strumentazioni, quindi, è possibile separare i frammenti liberi di Dna placentare da quello materno, che vengono poi esaminati con tecniche di ultima generazione in grado di ricercare alterazioni cromosomiche. In particolare, sono capaci di individuare le alterazioni relative al cromosoma 21, responsabili della sindrome di Down.
Non va confuso con l’esame combinato
Questo esame non va confuso il bitest o esame combinato, un’indagine che, come dice il nome stesso, prevede due esami:
- la translucenza nucale, ossia un’ecografia del feto, che misura la raccolta fisiologica di liquido che è presente nella regione della nuca del feto;
- un prelievo di sangue materno, per misurare i livelli di due particolari proteine (il free-β- hcg e la PAPP-A).
Lo studio su 16 mila donne
Lo studio americano ha coinvolto 16 mila donne incinte. Tutte sono state sottoposte sia all’esame del Dna fetale sia al test combinato. Lo scopo era capire quanti feti fossero a rischio di sviluppare la sindrome di Down e in quali casi i test effettuati fossero in grado di identificare questo rischio. Dall’analisi dei risultati, è emerso che il test su Dna fetale ha identificato correttamente tutti i 38 bambini con sindrome di Down, ma ha avuto anche nove falsi positivi. Lo screening tradizionale, invece, ha identificato 30 feti con alterazione del cromosoma 21 su 38, con 854 falsi positivi. Non solo: il primo esame è risultato più attendibile anche nel riconoscere altre anomalie cromosomiche meno frequenti. “Su 10 casi di trisomia 18 o sindrome di Edwards la tecnica del Dna libero ne ha identificati 9, e uno come falso positivo. Con lo screening standard, ne sono stati rilevati 8 e 49 falsi positivi” hanno spiegato gli autori.
È accurato ma limitato
In effetti, i test di screening standard possono dare falsi positivi, generando allarmi ingiustificati. Il nuovo test sul Dna fetale nel sangue materno, invece, è molto più sicuro da questo punto di vista. Tuttavia, permette indagini più limitate. “Le donne che optano per questo esame devono essere informate che è molto accurato per la sindrome di Down, ma si concentra su un piccolo numero di anomalie cromosomiche e non fornisce una valutazione completa come quella degli altri approcci” hanno detto gli studiosi.