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Tutte le donne vorrebbero conoscere la salute del loro bebè prima ancora che venga al mondo. Ma, spesso, non hanno ben chiaro come fare. In merito allo screening prenatale, infatti, c’è moltissima confusione. Ultimamente si parla molto dei test sul Dna fetale, ma gli esperti non li ritengono particolarmente utili.
amniocentesi e villocentesi offrono completezza
Una cosa è certa. Al momento, gli unici due esami che permettono di fare uno screening prenatale completo e attendibile sono l’amniocentesi e la villocentesi. Infatti, sono in grado di ottenere molte informazioni sulla salute e le condizioni del feto durante la gravidanza. Queste due tecniche, però, sono invasive e comportano un rischio, seppur bassissimo, di aborto. Ecco perché negli anni si sono cercate delle alternative.
Le analisi più moderne
Una delle più recenti è costituita dal Nipt (non invasive prenatal test), che si basa sulla ricerca del Dna fetale nel sangue materno. In questo modo, è possibile diagnosticare non solo la sindrome di Down giù in gravidanza, ma anche moltissime altre malattie genetiche ereditarie, come la sordità congenita, la distrofia muscolare, la fibrosi cistica, il ritardo mentale. I suoi risultati, però, sono considerati ancora parziali in chiave screening prenatale.
Pochi consensi, tanti dubbi
“Il test sul Dna fetale si fa da tempo, noi stessi lo offriamo, pur senza consigliarlo. Perché ha ancora troppi errori, visto che il Dna esaminato è quello placentare, e i risultati non sono certi” dice Claudio Giorlandino, segretario Si-Dip e direttore sanitario di una realtà privata.
Lo screening tradizionale
Meglio, allora, optare per il Bi-test, ossia translucenza nucale associata al dosaggio di alcuni ormoni nel sangue materno, che offre un’attendibilità di oltre il 90%. “Il test sul Dna fetale nel sangue materno ha ancora troppi limiti: se il risultato è positivo va comunque effettuato un esame invasivo per la conferma e poi, mentre ha un’attendibilità elevata, anche del 98%, per la trisomia 21, per altre trisomie, come 13 e 18, la sensibilità scende all’80-90%. Insomma, allo stato attuale delle conoscenze non è un esame alternativo ed è invece un bel business. Ne è prova che non è consigliato come test diagnostico da nessuna società scientifica internazionale” conferma Giovanni Monni, responsabile diagnosi prenatale e preimpianto dell’ospedale Microcitemico di Cagliari.