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Basterebbe uno screening del citomegalovirus prima e durante la gravidanza per evitare gravi disabilità e ritardi fisici e neurologici a molti neonati grazie a una diagnosi e un trattamento tempestivi: lo ha sottolineato l’Amcli (Associazione microbiologi clinici italiani).
Della famiglia degli Herpes virus
Il citomegalovirus rappresenta un pericolo per le future mamme e i loro bambini, con un’incidenza media dello 0,7% di tutti i nuovi nati, per questo sarebbe importante introdurre uno screening del citomegalovirus. Si tratta di un Herpes virus molto diffuso: il 60-70% delle donne in età fertile ha già contratto l’infezione nella vita. Negli adulti si risolve senza complicazioni e di solito non dà sintomi. Il problema sorge quando il primo contatto col virus avviene in gravidanza, perché nel 40% dei casi può trasmettersi al feto. Se la donna ha già avuto un’infezione e viene di nuovo in contatto col virus durante la gestazione la probabilità di passaggio al feto è pari all’1-2%.
Serie conseguenze al bimbo nel pancione
Se il virus arriva al bambino, le conseguenze possono essere serie. Il citomegalovirus, infatti, è la principale causa di sordità infantile: il 10-15% dei neonati con infezione contratta in utero ha sintomi più o meno gravi evidenti alla nascita, dal ritardo di crescita a sordità, da microcefalia a ittero. Di questi, il 70-80% sviluppa gravi sequele entro i due anni, con ritardo psicomotorio, sordità, alterazioni oculari e un rischio di mortalità del 10%. Il 5-15% dei neonati infetti ma asintomatici alla nascita può andare incontro a sordità o ritardo mentale da citomegalovirus.
Manca la prevenzione
Da qui la proposta di Amcli di coordinare uno screening del citomegalovirus nazionale, che al momento in Italia non c’è. Non esiste un trattamento di prevenzione e terapia in gravidanza, né un vaccino. Tuttavia è possibile ridurre il rischio di infezione durante la gestazione mettendo in atto precauzioni soprattutto nei confronti dei bambini piccoli, principale fonte di contagio se frequentano l’asilo nido o la scuola materna: la donna deve evitare il contatto diretto con i fluidi organici dei bimbi, in particolare nella prima parte della gravidanza quando un’infezione trasmessa al feto è più pericolosa per il cervello in via di sviluppo.