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Attualmente, grazie agli esami di screening prenatale come il bitest e la translucenza nucale, è possibile calcolare con un’alta attendibilità la percentuale di rischio di alcune anomalie cromosomiche del feto come, per esempio, la sindrome di Down, sin dalle prime settimane di gestazione.
Il rischio aumentato può successivamente essere confermato o smentito mediante i test diagnostici invasivi come la villocentesi e l’amniocentesi. Dal 2017 il test combinato che associa il bitest e la transulenza nucale è consigliato dal ministero della Salute e reso gratuito, senza pagamento di ticket.
La translucenza nucale
La translucenza nucale consiste nella misurazione, mediante un’ecografia, dello spessore di una minuscola falda di liquido posta fra la cute e la colonna vertebrale del feto, a livello della nuca, presente solo dalla 11a alla 14a settimana di gestazione. Di solito, l’esame viene eseguito tra l’11a e la 14a settimana di gravidanza, perché questo è il periodo di maggior spessore e migliore visualizzazione.
L’associazione della translucenza nucale a un’ecografia precoce è fondamentale per l’attendibilità di questo esame: se sono già visibili anomalie fetali maggiori in un’epoca così precoce, aumenta notevolmente il rischio di anomalie cromosomiche. Il risultato di questo esame non dà diagnosi certa, ma esprime il rischio che il bambino presenti un difetto cromosomico: maggiore è lo spessore della translucenza nucale, più grande è il rischio di anomalia. Inoltre, rispetto alle altre indagini non invasive (come il bitest), questo esame fornisce indicazioni anche per le cardiopatie congenite (cioè presenti fin dalla nascita), anomalie scheletriche e alcune sindromi genetiche.
Se eseguita secondo le regole della Fetal Medicine Foundation, la translucenza nucale ha una “sensibilità” dell’80%. Quando poi questa indagine è abbinata al bitest, divenendo un test combinato, l’attendibilità può aumentare del 5-10%. E raggiungere quindi il 90-95%.
Il bitest
Tramite il bitest, in un campione di sangue materno ottenuto con un semplice prelievo di sangue, vengono dosate due sostanze: la frazione libera della subunità beta della gonadotropina corionica (BhCG) e la plasmaproteina A (PAPP-A, Pregnancy-Associated Plasma Protein, ovvero plasmaproteina A associata alla gravidanza), che sono normalmente prodotte dall’unità feto-placenta.
Il bitest viene eseguito, in genere, tra la 11a e la 14a settimana. L’esito viene dato nel giro di 3 o 4 giorni e il costo varia a seconda dell’ospedale in cui viene effettuato. La BhCG e la PAPP-A subiscono delle variazioni in presenza di anomalie cromosomiche. In particolare, è stata studiata l’associazione con la trisomia 21 (o sindrome di Down), la più frequente anomalia cromosomica presente alla nascita: un aumento della BhCG e una diminuizione della PAPP-A sono considerati indice di un aumentato rischio di sindrome di Down.
Il bitest se eseguito da solo ha una bassa attendibilità, per questo va sempre abbinato alla translucenza nucale, combinazione indicata con il termine test combinato, reso gratuito dal ministero della Salute.