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Esistono ancora forti dubbi circa l’impiego di test sul sangue materno per verificare la presenza della sindrome di Down nel feto. Il mondo scientifico mostra le sue perplessità e non fa fatica ad ammetterlo. Nello stesso tempo mette in evidenza come attualmente gli unici test diagnostici rimangono la villocentesi e l’amniocentesi, che allo stato attuale risultano comportare un rischio di aborto pari a quello della popolazione generale che non si sottopone a questo tipo di diagnosi prenatale.
Una risposta univoca
La risposta è chiara: “l’utilizzo delle cellule fetali su sangue materno per la diagnosi di anomalie genetiche e cromosomiche non deve essere proposto quale alternativa alla diagnosi prenatale invasiva”.
La posizione del mondo scientifico
Tutte le società scientifiche internazionali hanno preso posizione sulle tecniche di screening prenatale mediante la ricerca del Dna su sangue materno per verificare la presenza della sindrome di Down nel feto (Non-invasive prenatal testing – NIPT – by maternal plasma Dna sequencing).
Anche la SI. Di. P – Italian College of Fetal Maternal Medicine, la Società Italiana Diagnosi Prenatale e Medicina Materna Fetale, si è schierata con un comunicato apposito.
La risposta italiana
Secondo la SI. Di. P si tratta infatti di test estremamente interessanti ma confinati, ancora, nell’ambito della ricerca e che presentano aspetti troppo incerti per essere traghettati nell’ambito diagnostico.
“Secondo le linee guida nazionale – si legge nel comunicato della SI. Di. P – Italian College of Fetal Maternal Medicine – l’utilizzo delle cellule fetali su sangue materno per la diagnosi di anomalie genetiche e cromosomiche non deve essere proposto quale alternativa alla diagnosi prenatale invasiva”.
No all’uso dello screening per fini clinico-diagnostici
Attualmente tutta la letteratura internazionale e le attuali linee guida è contraria all’utilizzo di tale screening a fini clinico-diagnostici, nella popolazione generale. Così spiega il professor Claudio Giorlandino, segretario generale dell’Italian College of Fetal Maternal Medicine. “Da alcuni anni gli studiosi tentano di isolare dal sangue materno tracce di Dna fetale allo scopo di rilevare l’eventuale presenza di un feto portatore di sindrome di Down e, talvolta, aneuploidie dei cromosomi 13 e 18. Oggi gli unici test di screening accreditati (ancorché con i limiti noti) sono quelli combinati basati sulla translucenza nucale e sulle proteine placentari – aggiunge Giorlandino -. Di tali test la nostra Società scientifica, in ossequio alle linee guida, propone quelli sperimentati nella popolazione nazionale (Sca-Test)”.