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La diagnosi prenatale rappresenta un’opportunità unica per scoprire lo stato di salute del bambino prima ancora che nasca. Non sempre, però, tutto va liscio. Può anche succedere, infatti, che vengano commessi degli errori. Ora la Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità è del ginecologo che prescrive gli esami.
Che cosa valeva in passato
In passato i ginecologi erano ritenuti colpevoli solamente se effettuavano indagini sbagliate che impedivano di diagnosticare anomalie genetiche a carico del nascituro. Ora non più. Con due recenti sentenze – la n. 16754/2012 e la n. 27528/2013 – la Corte di Cassazione ha stabilito che i medici sono responsabili anche se sbagliano nell’indicare gli esami necessari per la diagnosi prenatale.
Le nuove regole riguardano i test di screening
Le pronunce della Suprema Corte riguardano, in particolare, i test di screening. Si tratta degli esami che analizzano il sangue materno e sono in grado solo di fornire una percentuale di rischio. Non danno, dunque, alcuna certezza sulla salute del feto, ma solo un’idea. Oltretutto riguardano un numero limitato di malattie: la sindrome di Down e poco altro. Ebbene, secondo i giudici è compito del ginecologo spiegare alla gestante che i test di screening sono del tutto imprecisi e limitati. Questo vale soprattutto per il test del Dna fetale su sangue materno. Infatti, la presenza della parola Dna può facilmente trarre in inganno e indurre a pensare a un qualcosa di affidabile al 100%.
Amnio e villocentesi danno certezze assolute
Mamma e papà, insomma devono essere informati che la diagnosi prenatale è possibile solo con amniocentesi e villocentesi. Tutte le altre indagini sono solo indicative.