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Le cosiddette cellule killer aiutano la crescita del feto, agevolando il nutrimento materno nelle prime fasi dello sviluppo e in attesa della formazione della placenta. È quanto scoperto dai ricercatori della University of Science and Technology of China, che al riguardo hanno condotto uno studio su topi. Chiamati anche linfociti NK, sono cellule del sistema immunitario in grado di contrastare e distruggere le cellule tumorali e quelle infette da virus, da cui il soprannome di cellule killer.
Producono fattori di crescita
Secondo il gruppo di immunologi cinesi, durante il primo trimestre di gravidanza le cellule killer abbondano nell’utero, ma il loro numero cala drasticamente dopo la formazione della placenta. Le hanno ribattezzate cellule killer uterine, perché presenti solo nel pancione della mamma. Il loro scopo è secernere fattori di crescita importanti per lo sviluppo del bebè, in particolare una proteina chiamata pleiotropina, che favorisce lo sviluppo di vasi sanguigni, ossa, cartilagini e fibre nervose, e l’osteoglicina, che concorre allo sviluppo del cuore e alla crescita di pelle e occhi.
Servono conferme
I topi geneticamente modificati per non produrre queste sostanze hanno generato feti più piccoli del normale, mentre quelli cui erano state iniettate queste cellule hanno generato feti più grossi. Lo stesso meccanismo dovrebbe verificarsi anche negli esseri umani, ma per il momento mancano le ricerche in tale ambito.
Contro gli aborti spontanei
Studi aggiuntivi sono necessari per confermare che le cosiddette cellule killer aiutano la crescita del feto. Se così fosse, potrebbe essere finalmente possibile prevenire i problemi di crescita fetali e molti degli aborti spontanei senza ragioni apparenti: le natural killer uterine erano presenti, infatti, in minori quantità nelle donne che avevano vissuto ripetute interruzioni involontarie di gravidanza.
In alternativa alle staminali
Scoprire che le cosiddette cellule killer aiutano la crescita del feto è fondamentale per capire come utilizzarle per proteggere i bambini, evitando procedure invasive in caso di problemi di sviluppo, come infusioni intravenose o somministrazioni per via vaginale. Queste cellule sembrerebbero rivelarsi un’alternativa addirittura più sicura alle cellule staminali.