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In Italia vivono circa 500mila persone con epilessia. Si tratta di una delle malattie neurologiche più diffuse, che colpisce in percentuale simile i due sessi. Tuttavia, la malattia stessa e i farmaci antiepilettici utilizzati per curarla pongono alla donna problemi particolari, soprattutto nel periodo della gravidanza.
A rischio i primi tre mesi
L’ostacolo principale è costituito dai farmaci antiepilettici che la donna è costretta ad assumere: alcuni di questi possono indurre, nei primi tre mesi di gravidanza, malformazioni di varia gravità nel feto (il rischio è 2-3 volte maggiore rispetto alle donne sane). Attualmente l’uso di questi medicinali in gravidanza varia dallo 0,2 allo 0,5%. Il rischio di teratogenicità (cioè di danni al feto) è diverso da farmaco a farmaco e, mentre è abbastanza noto quello dei “vecchi” antiepilettici in gravidanza, non si conosce ancora molto bene l’effetto delle molecole di introduzione recente, che quindi vanno usate con maggiore cautela durante la gravidanza.
Rischio difficoltà motorie e autismo
I potenziali effetti negativi di alcuni medicinali antiepilettici sono stati sottolineati da un recente studio condotto in Norvegia. I ricercatori hanno scoperto che i bambini nati da madri che hanno assunto farmaci antiepilettici durante la gestazione (come valproato, lamotrigina, carbamazepina e farmaci antiepilettici multipli) hanno più probabilità di sviluppare difficoltà motorie e linguistiche e tratti di autismo nei primi tre anni di vita. Anche il rischio di subire difetti alla nascita è più elevato. Nessun ritardo è stato invece riscontrato nei bambini nati da donne malate che non assumevano antiepilettici durante la gravidanza.
Non interrompere la terapia senza il parere del medico
I ricercatori hanno sottolineato anche che, in caso di gravidanza, è importante non interrompere la terapia senza sentire il parere del medico, perché le crisi epilettiche possono essere molto pericolose. È fondamentale che le donne in trattamento con farmaci antiepilettici programmino la gravidanza, in modo da razionalizzare e semplificare la terapia. Durante i nove mesi il monitoraggio deve essere regolare, con collaborazione continuativa tra epilettologo e ginecologo.