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Non si è ancora spenta l’eco degli odiosi cori razzisti rivolti al calciatore ghanese Kevin-Prince Boateng durante la partita amichevole Pro Patria – Milan. E mentre il mondo del calcio si interroga su come gestire nuovi episodi di razzismo, fa riflettere uno studio che arriva dagli Stati Uniti condotto su 32 bambini americani ma con diverse origini razziali, tra i 4 e i 16 anni di età.
Un team di ricercatori in neuroscienze della University of California, sede di Los Angeles, ha sottoposto i giovanissimi a una risonanza magnetica nel momento in cui visionavano un catalogo fotografico con le immagini di persone dal colore della pelle prima uguale e poi differente dal loro.
Non è la prima volta – per questo genere di ricerche – che si utilizza lo strumento della risonanza magnetica, che consente effettivamente di verificare eventuali cambiamenti nell’area cerebrale di chi è sottoposto al test.
Due teorie opposte
La ricerca americana si inserisce nel dibattito, sempre piuttosto acceso, sugli origini del razzismo e che ha visto confrontarsi, negli anni, due linee di pensiero opposte: quella che considera il razzismo un fatto culturale, legato alla socializzazione, e quella che al contrario sostiene come la xenofobia sia innata in ognuno di noi. Ed è proprio quest’ultima teoria che sembra essere smentita dalla ricerca statunitense: davanti alle foto di persone “diverse da loro”, i bambini non hanno mostrato attività cerebrali inconsuete. In particolare, è stato analizzato il comportamento dell’amigdala, quell’area del cervello che fa da centro di integrazione ai percorsi neurologici superiori, come le emozioni; anch’essa non ha evidenziato modifiche.
Qualcosa cambia dopo i 14 anni
Dai risultati di questa ricerca è possibile ricavare altre interessanti considerazioni. Innanzitutto, che qualche variazione dell’amigdala davanti al “diverso da sé” compare dopo i 14 anni di età (come è emerso anche da altre recenti ricerche analoghe), e poi che le reazioni mutano a seconda delle origini razziali e geografiche dei ragazzini. In particolare – come era facilmente prevedibile – non sembrano mostrare segni di razzismo i giovani provenienti da famiglie miste o con antenati di altre etnie.