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La nascita di un figlio è un evento gioioso, ma anche un enorme cambiamento per tutta la famiglia e la depressione post parto materna è un disturbo che si declina anche al maschile, colpendo i neopapà. Secondo una recente ricerca inglese, più del 4% degli uomini che hanno appena avuto un figlio ne soffre, contro il 10% delle donne. La ricerca è stata condotta dalla Oxford University su un campione di 38 neopadri con bambini di appena tre mesi. Una quota significativa di questi neopapà dava chiari segni di tristezza cronica, scarsa comunicazione con il bebè e trascuratezza. Se da una parte, dunque, i padri di oggi si prendono cura più che in passato dei figli, dall’altra un buon numero di loro viene sopraffatto, nei primi mesi di vita del bambino, da un senso di inadeguatezza, tristezza e solitudine. La depressione post parto maschile è quindi un fenomeno sempre più diffuso, di cui si parla però poco e che si tende culturalmente a “minimizzare” perché il maschio è ancora considerato il “sesso forte”.
Un problema con tante cause
La depressione maschile post parto nasce da una serie di fattori. Spesso il problema scaturisce da un confronto tra l’attuale situazione e quella che l’ha preceduta: la coppia stava vivendo un momento passionale, c’era un senso di affinità e di appagamento totali. La nascita del figlio spezza inevitabilmente l’idillio perché la nuova situazione richiede alla donna un’attenzione totale per il piccolo. Non solo: molto spesso vi è un parallelo calo di desiderio sessuale della compagna, che conduce l’uomo a un senso di frustrazione. Spesso, poi, la donna, assorbita dalle gioie e dalla fatica della maternità, non dà peso al disagio del partner. Insomma, l’uomo si può sentire sempre più solo e trascurato. Questa sensazione peggiora se la neomamma tende a escludere il compagno dalle normali azioni di vita quotidiana relative alla cura del bebè.
La compagna può essere d’aiuto
La depressione post parto maschile va innanzitutto riconosciuta e affrontata. Il primo passo è parlarne con la propria compagna e con il medico, che saprà consigliare l’uomo sui passi da fare. È importante che il padre sia coinvolto e si interessi fin da subito alla cura del bebè, occupandosi di piccoli compiti quotidiani: dal cambio del pannolino al bagnetto. Se ci si sente “goffi” o inadeguati, bisogna provarci comunque, chiedendo aiuto alla compagna. Se è lei a escludere il partner dalla cura del bambino, bisogna parlarle con dolcezza e farle capire che, invece, è molto importante essere complici anche dal punto di vista della genitorialità. Esistono poi tecniche specifiche di rilassamento, terapie comportamentali e di gruppo, cioè basate sull’auto-aiuto da parte di padri che già hanno sofferto dello stesso problema. Se tutto ciò non bastasse, si può ricorrere alle cure farmacologiche con l’aiuto di uno psicoterapeuta.