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Alcuni hanno una decina di anni, altri non arrivano a due e altri ancora sono addirittura dei neonati. Sorridono vestiti a festa, cantano e ballano, “raccontano” con stories, post e reel su Instagram oppure con video su Tik Tok la loro vita, più da adulti che da bambini. Sono i baby influencer, i bimbi che sugli account dei genitori quando sono piccolissimi, incoraggiati se non spinti dagli adulti ad aprire un loro account personale quando sono più grandicelli, espongono la loro immagine sui social sponsorizzando marchi e prodotti di vario genere. Piccoli che fanno propri precocemente gesti, frasi e movenze tipiche del mondo adulto solo per la conquista di qualche like. Vediamo con l’esperta i rischi e le delusioni di cui tener conto.
Il fenomeno delle baby influencer
Pensiamo, spesso a torto, che volere notorietà per i figli sia un atteggiamento dei nostri giorni. Ma non è così perché, sia pur con i dovuti distinguo, anche in passato le aspirazioni dei genitori spesso ricadevano sui figli. Lo conferma la dottoressa Chiara Maddalena, psicoterapeuta all’Ospedale Santa Maria di Bari, esperta in tematiche infantili e adolescenziali. «Visconti nel 1951 gira uno splendido film con Anna Magnani e un giovanissimo Walter Chiari: “Bellissima” è la storia di una madre che spera in un futuro nel cinema per la propria figlioletta di cinque anni. Nel film la Magnani si rende amaramente conto di aver preteso che la bimba realizzasse il suo desiderio di madre, e non la propria felicità di bambina, e di aver speso tanti soldi e aver messo in crisi il rapporto con il marito. Quanti genitori oggi, sulla spinta del desiderio di popolarità e soldi promesso dai social, fanno lo stesso con i propri figli? Del resto, ogni genitore desidera per il proprio figlio una vita migliore della propria». Naturale che quando si parla di bambini molto piccoli, persino di neonati, a postare storie e video sui social siano in maniera diretta i genitori sui loro account. Vuoi per desiderio di notorietà, vuoi per denaro: difficile indagare e stabilire con precisione il meccanismo che porta un adulto a esporre sul web il proprio figlio. «Ma un aspetto interessante del fenomeno dei baby influencer è che nei nostri studi di psicoterapeuti spesso scopriamo che non sempre la spinta a questa esposizione social parte dai genitori» commenta l’esperta. «Passando tanto tempo in rete non è raro che siano gli stessi bambini o preadolescenti a chiedere l’apertura di canali social, dove sognano di imitare coetanei o adulti».
I rischi dell’esposizione sui social
«Non ci sono dubbi che un’esposizione precoce sui social comporti rischi sia a breve che a lungo termine» continua la psicoterapeuta. «In primis preoccupa la costruzione di un falso sé, di una maschera sociale diversa dal sé autentico, che viene creata proprio per trovare spazio su un palcoscenico potente e allo stesso tempo pericoloso come quello del web. L’approvazione sociale cercata dai baby influencer, capace di pilotare i gusti di chi li segue, alimenta il narcisismo dei piccoli, che spesso faticano a instaurare legami con i coetanei di tipo paritario. Da un lato i baby influencer si sentono ricercati perché oggetto di ammirazione, ma dall’altra spesso percepiscono di essere rifiutati perché invidiati e ritenuti superbi. Questo può comportare atteggiamenti di allontanamento ed esclusione da parte del gruppo dei pari, atteggiamenti che possono sfociare in episodi di bullismo vero e proprio. “A lei piace fare quei video, è come un gioco”, è un’affermazione di un genitore che accende in me, in qualità di psicoterapeuta, delle domande: lo fa per compiacere gli adulti? Questa bambina vive per se stessa o per lo sguardo dell’altro? Quando finiscono i likes cosa le resta? Come sta questa bambina? Per svolgere questo lavoro cosa perde in termini di esperienze formative? Del resto, per rendersi conto dei rischi che corrono i baby influencer, basta pensare alla “versione” adulta degli influencer e ai loro momenti di esaltazione e tracollo, gloria e fallimento, illusione e disincanto. Se è difficile gestire la fama per un adulto, che dovrebbe essere in linea di massima strutturato e capace di superare un fallimento, l’impresa può diventare ardua, e persino pericolosa per un sano sviluppo emotivo, per un bambino, con tutte le conseguenze che questo può comportare sul processo di crescita e maturazione».
Cosa succede con l’adolescenza
«Quando i baby influencer crescono e arrivano all’età dell’adolescenza la situazione si complica ulteriormente» continua la psicoterapeuta. «Sono tanti i ragazzi che si ribellano a scelte che non considerano proprie ma volute solo dai genitori; genitori che spesso vengono incolpati di aver strumentalizzato i figli solo per soddisfare i loro desideri. Quando ciò accade, la famiglia e i ragazzi rischiano di passare anni burrascosi tra breakdown adolescenziali, scontri, problemi scolastici e purtroppo non è raro imbattersi in vere e proprie diagnosi psichiatriche». Ma in fondo nel momento in cui il ragazzo riconosce di essere stato strumento nelle mani dei genitori e si oppone al prosieguo di una continua esposizione sui social, la situazione, pur con le sue problematiche a volte di non poco conto, tende verso la risoluzione. Diverso il discorso dei baby influencer che vorrebbero continuare ad esserlo. «Con l’adolescenza il corpo cambia, cambia la voce… e per chi vive di quell’immagine o di quella voce cosa può succedere?» si chiede la psicoterapeuta. «Mutati nell’aspetto, a causa del naturale processo di crescita, questi ragazzi possono vivere crisi adolescenziali ancora più difficili e complesse rispetto ai normali coetanei, sviluppando sentimenti di disistima, mancata accettazione, difficoltà di regolazione emotiva in genere, problemi relazionali e rabbia nei confronti dei genitori, che non ne hanno tutelato la privacy e assicurato loro una vita “normale”. “Volevo essere un bambino come tutti gli altri”, tendono a dire proprio nell’età in cui c’è bisogno di essere riconosciuti e accettati dal gruppo dei pari. E, se questi sono i possibili rischi psicologici della sovraesposizione mediatica di un minore, non sono da dimenticare quelli derivanti dall’essere dati in pasto a un pubblico molto ampio, eterogeneo, dove non mancano squilibrati e pedofili. Tante sono le molestie denunciate in quest’ambito: reati come il furto d’immagine e d’identità per fini pedopornografici e altro, senza contare l’influenza deleteria che eventuali messaggi critici e negativi possono avere sul minore, sottoposto a un bombardamento mediatico».
Esempi di baby influencer suicidi
Vincent Picchi, noto sul web come Inquisitor Ghost, morto suicida secondo il padre per colpa di chi voleva distruggere il suo personaggio su Tik Tok, e Leila Kaouissi, che sui social raccontava la sua storia di anoressia e bulimia misteriosamente scomparsa da casa, sono solo due esempi dell’impatto devastante che l’esposizione sui social può avere, soprattutto quando inizia dalla più giovane età. «Non si tratta di allarmarsi, né di preoccuparsi in maniera eccessiva» commenta l’esperta. «Ritengo che la tecnologia in sé non sia né buona né cattiva, ma che a fare la differenza sia sempre l’uso che se ne fa. Essere orgogliosi dei propri figli è un sentimento nobile; tuttavia è importante, come adulti, chiedersi che conseguenze l’esposizione dei bambini possa avere sulla loro salute. Dareste una Ferrari in mano a vostro figlio al posto della macchinina a pedali? Essere genitori, lo diceva anche Freud, è uno dei mestieri impossibili. Nella società in cui viviamo fare scelte educative comporta responsabilità e domande nuove a cui dare risposta. E’ facile giudicare i genitori, attribuire colpe e responsabilità, ma occorre fermarsi a pensare: quando si è presi dall’ansia, tutti noi ci rivolgiamo alla rete e lì non sempre troviamo riferimenti validi, più spesso palliativi per l’ansia, che vere e proprie risposte. Il mio consiglio è sempre quello di rivolgersi ai professionisti, perché scegliere di accompagnare i propri figli in un’avventura mediatica comporta un’enorme responsabilità e, forse, la consulenza specialistica può aiutare a porsi qualche domanda utile per proteggerli e crescerli al meglio».
Baby influencer: cosa dice la legge
La spunta blu che garantisce l’autenticità del profilo compare spesso sugli account dei più piccoli nonostante l’età per iscriversi alla piattaforma social sia in Italia di 14 anni. Già questo sta a testimoniare il fatto che aprire un account a nome di un minore di 14 anni, come spesso succede quando sono i genitori a spingere i figli a diventare protagonisti sui social, viola le norme. Ma il problema maggiore sta nel fatto che non esiste ad oggi una legge che tuteli i baby influencer né dal punto di vista lavorativo ed economico né su quello personale che coinvolge aspetti delicati legati alla tutela della privacy, al diritto all’immagine e alla reputazione. Un tema che riguarda anche un altro fenomeno diffuso sul web come quello dello sharenting, la condivisione di foto e video di minore sui social senza scopo di lucro. Nel caso dei baby influencer non esistono norme specifiche al riguardo, se non le regole che vengono strette tra i vari brand e i genitori e che si rifanno a disposizioni generali come quella che siano entrambi i genitori a prestare il consenso all’uso dell’immagine del minore. Persino la legge che vieta il lavoro minorile sotto i sedici anni lascia aperto uno spiraglio dove i baby influencer possono collocarsi: esiste infatti una deroga per gli impegni culturali, artistici, sportivi, pubblicitari o nel mondo dello spettacolo. Questa deroga richiede l’autorizzazione dell’Ispettorato territoriale del lavoro che deve verificare che le attività del minore non pregiudichino sicurezza, integrità psicofisica, sviluppo e frequenza scolastica. Ma aggirare la questione è semplice in mancanza di una normativa specifica. Di riferimento potrebbe essere il modello francese: Oltralpe esiste infatti già dal 2020 una legge che mira a tutelare i baby influencer regolando le ore di lavoro sui social, prevedendo una sorta di congelamento dei guadagni e la possibilità del diritto all’oblio qualora i ragazzi lo richiedano quando sono più grandi.
In copertina Foto di zak-chapman by Pexels