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Il recentissimo caso di cronaca di un dodicenne romano trovato morto con il pc acceso ha riportato alla ribalta il tema scottante delle challenge social, sfide che partono dal web sfociando drammaticamente nella realtà con rischi altissimi per la salute fisica e psicologica di bambini e ragazzi. Un fenomeno difficile da controllare per i genitori che possono però informarsi e dialogare con i figli, stabilire regole nell’uso delle tecnologie digitali e monitorare alcuni segnali che possono essere spia di un coinvolgimento dei figli in competizioni pericolose.
Che cosa sono le challenge social
Si definiscono challenge social le sfide rischiose lanciate, filmate e poi pubblicate sui social che coinvolgono i più giovani in competizioni ad alto rischio. Il nome tristemente più conosciuto è quello di blue whale, il “gioco” dell’orrore che qualche anno fa ha portato alla morte 157 adolescenti. Ma l’elenco delle challenge social estreme è molto lungo e comprende una serie di sfide pericolose che vanno dallo stringersi al collo una cintura al farsi i selfie sulle rotaie dei treni, dalle camminate bendate nei pressi dei dirupi fino alle gare in auto per i più grandi.
«Si tratta di competizioni online che trovano ampio consenso soprattutto dai 9 ai 17 anni, una fascia di età particolarmente sensibile al rischio dell’emulazione e scarsamente capace di rendersi conto dei reali pericoli che si nascondono dietro determinate sfide» commenta la professoressa Elisa Fazzi, Presidente SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e Direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia.
Come capire le situazioni di pericolo
Entrare nel meccanismo delle challenge social per un adulto può non essere facile. Ecco allora che informarsi è sempre il primo passo da fare per essere in grado di cogliere eventuali situazioni di pericolo ed essere in grado così di aiutare i figli. Occorre innanzitutto partire dal presupposto che non tutte le challenge social sono pericolose: inizialmente, infatti, erano nate come sfide social divertenti che coinvolgevano adulti e bambini, a volte con fini benefici. Alcune possono persino essere pensate come giochi educativi. La speed drawing challenge prevede, ad esempio, che si disegni lo stesso soggetto prima in dieci minuti, poi in un minuto e infine in un secondo. La Try not to laugh challenge consiste nel guardare, in coppia o da soli, video divertenti, cercando di trattenere le risate. Nella Flip Bottle challenge si deve lanciare e poi far atterrare in piedi una bottiglia d’acqua. E ci sono persino competizioni “ecologiche” come la Trashtag Challenge che consiste nel pulire una zona del proprio quartiere condividendo sui social una foto del prima e del dopo con l’hashtag #trashtag.
«Le challenge diventano un rischio nel momento in cui propongono sfide estreme che possono portare i ragazzi a compiere gesti pericolosi e di autolesionismo fino ad arrivare al suicidio» precisa l’esperta. E’ in questa zona “nera” che il genitore dovrebbe cercare di entrare soprattutto leggendo alcuni segnali che potrebbero indicare il coinvolgimento del ragazzo in challenge social ad alto rischio. L’esperta suggerisce quindi di monitorare con attenzione campanelli di allarme come i cambiamenti repentini e importanti nel rendimento scolastico, nella socializzazione, nel ritmo sonno veglia, nell’umore con condizioni di maggiore irascibilità, introversione, sovraeccitazione, comportamenti compulsivi. Massima attenzione va prestata poi ai segni sulla cute o sul collo, a frequenti mal di testa, ma anche a inappetenza, difficoltà di concentrazione, aggressività espressa sia verbalmente che fisicamente. Nel momento in cui un genitore nota anche un solo segnale che potrebbe essere indicativo di un coinvolgimento diretto è importante che chieda il supporto di un professionista per capire come muoversi nel modo più corretto possibile.
Cosa fare per proteggere i bambini
Più i ragazzi crescono, più il loro orizzonte sembra allontanarsi da quello dei genitori che si trovano spesso in difficoltà persino nel semplice entrare in contatto con loro. Ma il pericolo delle challenge social suggerisce di impegnarsi il più possibile per essere di supporto, anche in maniera indiretta ma pur sempre efficace, per i figli. Ecco i consigli della neuropsichiatra.
- Mantenere sempre aperto il dialogo. Come succede in molte altre dimensioni che riguardano la crescita e in particolare la fase adolescenziale, più che giudicare, rimproverare e criticare è importante parlare con i ragazzi. Soprattutto i più grandicelli capiscono bene che vanno incontro a pericoli, ma accettano le challenge social per la grande gratificazione che ne ottengono: sottolineare i rischi a cui vanno incontro, senza alzare la voce, senza rimproverare, ma spiegando è un modo perché i ragazzi possano prendere coscienza di quello a cui vanno incontro.
- Suggerire che c’è sempre possibilità di chiedere aiuto. Molte challenge social sono lanciate dai ragazzi stessi, magari da quelli più grandi. Purtroppo però ci sono sfide più pericolose, lanciate da adulti, che possono arrivare a soggiogare la volontà del ragazzo trasformandolo in una vittima e inducendolo ad atti estremi. E’ importante quindi creare in famiglia quel clima di fiducia che aiuti il ragazzo a capire che può rivolgersi sempre agli adulti di riferimento, a casa come a scuola, per uscire da una situazione pericolosa. Dialogando, i genitori possono cercare di far capire ai ragazzi che c’è sempre una possibilità di chiedere aiuto quando ci si sente minacciati.
- Stabilire regole nell’uso dei social. I genitori dovrebbero sempre avere presente, e far presente ai ragazzi, che l’età minima per iscriversi a un social network è di 14 anni, anche se a 13 anni è concesso con il consenso dei genitori. Ne deriva che gli adulti di casa possono stilare una serie di regole ben precise riguardo i tempi di utilizzo dei social e la condivisione con gli adulti dei contenuti online.
- Insegnare a esercitare il pensiero critico. Sempre attraverso il dialogo, con un atteggiamento di vicinanza e di sostegno, ma non di invadenza, i genitori dovrebbero cercare di far capire ai ragazzi che occorre riflettere sempre non solo su quello che si fa, ma anche su quello che si vede, si sente, si legge e si “vive” sui social. Educare al pensiero critico, in ogni situazione, anche sui social, significa infatti educare a prendere le distanze da ciò che può fare del male, fisicamente e psicologicamente.
- Trovare canali diversi dove indirizzare la vitalità. I ragazzi accettano le challenge social per mettersi alla prova, vincere, sentirsi forti. Ecco allora che i genitori potrebbero cercare di incanalare questa energia in maniera diversa verso dimensioni positive come possono essere lo sport, lo scoutismo o l’impegno nel sociale.
Perché le challenge sono così attrattive
«Occorre partire dal presupposto che il brivido della sfida attrae da sempre i ragazzi; in un’età in cui le funzioni inibitorie non sono ancora mature, infatti, i comportamenti pericolosi rappresentano uno strumento per misurarsi con i propri limiti e dimostrare, per primi a se stessi e poi anche agli altri, di non avere paura, di essere coraggiosi, di potersi spingere fino ai limiti estremi». La fisiologia gioca un ruolo chiave: la corteccia prefrontale, la parte del cervello preposta a elaborare giudizi e a prendere decisioni valutando attentamente pro e contro, è ancora poco sviluppata nei ragazzi. E questo fa sì che nel momento in cui un ragazzo deve decidere se fare o non fare una determinata cosa, come ad esempio lanciarsi in una challenge social, l’azione prevalga sul ragionamento.
E succede così anche quando quello che si deve fare è molto pericoloso, perché è classico della fase adolescenziale cercare di affermare se stessi anche andando oltre le regole, sfidando tutti, anche se stessi con comportamenti rischiosi. I social non fanno che dilatare il problema, rendendo le sfide ancora più pericolose da un lato, ma anche più “affascinanti” dall’altro. «I ragazzi si sentono ancora più onnipotenti perché, proprio grazie ai social, le loro sfide acquistano la massima visibilità che spinge a impegnarsi in imprese sempre più pericolose al solo scopo di ottenere like» commenta l’esperta. E per contro i social, diffondendo i video delle challenge e facendoli diventare virali, dilatano di continuo il numero degli emulatori.
Perché i ragazzi si lasciano coinvolgere
«Le sfide non sono altro che uno dei tanti mezzi, purtroppo molto pericolosi, con cui i ragazzi già attorno ai 9-10 anni cominciano a definire la propria identità; con le challenge social sperimentano i loro limiti, si mettono alla prova e mettono alla prova gli altri» commenta la professoressa Fazzi. «Il fatto poi che le sfide non vengano vissute da soli ma condivise con centinaia, migliaia di persone sui social appaga a pieno l’egocentrismo tipico dell’età: si diventa famosi anche tra persone che non si conoscono, si ricevono complimenti anche attraverso un semplice like messo a una foto o a un video, ma soprattutto ci si sente parte di una grande community che ha condiviso la stessa sfida». E si sa bene quanto l’idea di far parte di un gruppo sia importante per i ragazzi; poco importa se il gruppo si riconosce in challenge social estreme: quello che conta è essere come gli altri e insieme agli altri, impegnati in una sfida che solo i più forti e i più coraggiosi sanno superare.
A entrare in gioco è ancora la fisiologia. Quando una persona si sente appagata, fisicamente ma anche psicologicamente, il suo organismo rilascia dopamina, un neurotrasmettitore che insieme alla serotonina viene definito “ormone del piacere” perché capace di dare buonumore, energia e vitalità. I ragazzi presentano un livello molto basso di dopamina, ma il rilascio di questa sostanza a seguito di esperienze vissute è decisamente più elevato rispetto a quello degli adulti. Proprio per questo i ragazzi si sentono spesso e con facilità annoiati e cercano la novità che li stimoli e li ecciti, poco importa se pericolosa.
Le challenge social, come qualsiasi altra esperienza estrema e trasgressiva, risultano così molto attrattive per i ragazzi in quanto regalano una gratificazione che è molto più alta di quella che potrebbe ottenere un adulto impegnato nella stessa sfida. E’ per questo che con facilità i ragazzi prima dei 16 anni, agendo per lo più d’impulso senza riflettere sui loro comportamenti, accettano le sfide per ricavarne la ricompensa di una scarica adrenalinica che li fa stare bene. Magari per poco, fino alla sfida successiva. Nel frattempo, l’approvazione del gruppo agisce come rinforzo: la decisione di accettare una sfida social viene presa insieme ai coetanei proprio perché fa sentire parte di un gruppo e quindi rende tutto più appetibile. E anche se lo stare insieme è solo virtuale, il rilascio di dopamina è paragonabile a quello che si ha con comportamenti trasgressivi concreti come l’assunzione di alcol e di droga o il sesso non protetto.
In copertina foto di Piacquadio by Pexels