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Secondo un nuovo rapporto dell’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, l’esposizione al bisfenolo A (o BPA) da fonti alimentari o di altro tipo è molto al di sotto dei livelli di sicurezza.
Che cos’è
Il bisfenolo A è un composto chimico usato nella produzione di materiali a contatto con gli alimenti, come la plastica per stoviglie o i rivestimenti interni delle lattine, presente anche nella carta termica per gli scontrini fiscali e nei cosmetici. I residui possono perciò essere assorbiti attraverso la cute, per inalazione di polveri o attraverso gli alimenti in cui il BPA potrebbe migrare. In passato è stato accusato di provocare danni ai reni, al fegato e al sistema nervoso, oltre che di essere pericoloso per il sistema immunitario e riproduttivo (nel 2011 una direttiva europea ne ha bandito l’uso per la fabbricazione dei biberon), ma, per il nuovo e completo rapporto dell’Efsa, non vi sarebbero rischi per alcuna fascia di età, inclusi feti, neonati e adolescenti, ai livelli attuali di esposizione.
Al di sotto dei livelli di rischio
Nel comunicato sul bisfenolo A, l’Efsa ha fatto riferimento a ogni tipo di esposizione, sia attraverso la dieta sia per quanto riguarda altre fonti. L’esposizione cui siamo soggetti è nettamente al di sotto del livello di sicurezza (la cosiddetta “dose giornaliera tollerabile” o DGT), ha precisato l’Efsa. In altri termini, non è affatto escluso che il BPA faccia male ma la “dose” necessaria a provocare conseguenze negative nell’uomo è molto più alta di quella che possiamo ingerire o assorbire nella nostra vita quotidiana.
Nuovi limiti più restrittivi
Le nuove stime sono molto più precise rispetto alle precedenti, condotte nel 2006 quando le informazioni erano più scarse; il nuovo livello di sicurezza accettabile è stato abbassato, passando da 50 microgrammi per kg di peso corporeo al giorno a 4 microgrammi, ma la nuova soglia giornaliera tollerabile non viene comunque mai raggiunta da nessuna fascia di età della popolazione. Le stime più elevate dell’esposizione alimentare e da altre fonti indicano mediamente “dosaggi” da tre a cinque volte più bassi rispetto al limite.