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La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha bocciato la legge 40 del 19 febbraio 2004, quella sulla procreazione medicalmente assistita, nel punto in cui vieta la diagnosi preimpianto degli embrioni.
Ricorso di una coppia italiana
La decisione dei giudici di Strabsurgo riguarda il ricorso presentato alla Corte da una giovane coppia italiana fertile, ma portatrice sana di fibrosi cistica, al fine di poter effettuare la fecondazione assistita e la diagnosi preimpianto degli embrioni. La coppia, infatti, è portatrice sana di fibrosi cistica e ha già un figlio affetto da questa malattia e vorrebbe fare la fecondazione e la diagnosi preimpianto degli embrioni per evitare eventualmente la stessa sorte a un secondo figlio. La legge 40, però, vieta la fecondazione assistita alle coppie fertili e la diagnosi preimpianto, cioè la possibilità di selezionare gli embrioni ottenuti, senza impiantare appunto quelli malati.
Incoerenza con la legge 194
Secondo i giudici della Corte di Strasburgo, “il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente” perché un’altra legge dello Stato (la 194 del 22 maggio 1978, quella sull’interruzione volontaria della gravidanza), consente alla coppia di ricorrere a un aborto terapeutico (dopo 90 giorni di gravidanza) se il feto è malato. Ma se per il Governo italiano la legge 194 vorrebbe evitare il rischio di eugenetica (disciplina che si occupa del miglioramento della razza umana attraverso la manipolazione dei geni o attraverso l’incrocio selettivo delle razze migliori), per la Corte di Strasburgo i concetti di embrione e bambino non vanno confusi. La Corte ha quindi stabilito che la legge 40 ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare della coppia, cui lo Stato dovrà versare 15mila euro per danni morali e 2.500 euro per le spese legali sostenute.
Due possibilità di ricorso
La decisione della Corte sarà comunque definitiva entro tre mesi e solo se lo Stato italiano non farà ricorso alla Grande Camera. In questo caso potrebbe avvalersi di due possibilità:
1) interpretativa: non basta, infatti, che l’embrione sia malato per ricorrere all’aborto terapeutico consentito dalla legge 194, che dice appunto che esso è consentito “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna e quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Il Governo italiano potrebbe quindi far ricorso per un chiarimento giurisprudenziale, ovvero di interpretazione, che la Corte ha dato alla legge 194;
2) procedurale: il Governo italiano potrebbe impuntarsi su una questione di “prassi” perché la Grande Camera è un organo di ultima istanza, cui ci si rivolge solo dopo aver esperito tutti i gradi di giudizio del Paese in cui risiedono i ricorrenti; la coppia in questione invece si è rivolta subito alla Corte di Strasburgo scavalcando appunto la magistratura italiana.
Se il Governo italiano invece decidesse di non fare ricorso, allora dovrà rispettare la pronuncia della Corte ed effettuare una modifica alla legge 40 per mezzo del Parlamento o affermare l’incostituzionalità della legge 40 tramite la Corte Costituzionale.