Tra le conseguenze della pandemia di Covid-19 c’è anche la diminuzione della procreazione assistita. In altre parole, sono numerose le coppie che decidono di abbandonare il percorso di PMA, rinunciando alla possibilità di avere un figlio. Lo hanno dichiarato gli esperti della Società Italiana della Riproduzione Umana. Sempre più coppie si tirano indietro e il risultato è quasi 5mila nascite in meno.
A causa della pandemia, molte coppie hanno lasciato da parte il progetto di diventare genitori attraverso le pratiche della procreazione medicalmente assistita o Pma. Le cause della diminuzione della procreazione assistita non sono legate solo ai ritardi nell’accesso alle tecniche: infatti i centri di fertilità si sono organizzati per garantire accessi sicuri limitando i rischi di esposizione al virus.
Il problema, secondo gli esperti, va cercato nell’impatto psicologico dell’emergenza Covid-19. In seguito alla pandemia, molte delle coppie che desideravano un figlio hanno abbandonato l’idea, a causa di ansie e preoccupazioni verso il futuro. Già prima del Covid-19 lo stress emotivo, unito ad altri fattori di tipo socio-economico, portava ogni anno 1 coppia su 4 a rinunciare ai percorsi di Pma. Per il Covid-19, a causa della pesante riduzione dei servizi necessari per contrastare l’emergenza sanitaria, gli esperti calcolano che siano nati circa 5mila bambini in meno nel 2020.
Sono numerosi i motivi che hanno portato le coppie a rinunciare al sogno di diventare genitori. Il Covid-19 ha aumentato i problemi socio-economici, l’incertezza sul lavoro e ha causato un senso generale di precarietà nel futuro. È aumentato il timore di malattie e di morte e questa non è certo un panorama ideale per aspiranti genitori: a causa di fattori sociali ed economici, la paura della morte e una percezione di generale precarietà, a seguito della riduzione dell’attività da parte delle strutture sanitarie che svolgono trattamenti di PMA, le coppie che hanno rinunciato all’idea di avere figli nell’anno pandemico è cresciuto ulteriormente.
Gli esperti raccomandano, adesso più che mai, di potenziare il supporto psicologico alle coppie per contrastare il calo della procreazione assistita. L’affiancamento dello psicologo permette di sviluppare consapevolezza e accettazione della condizione di infertilità e delle cure a cui decidono di sottoporsi. Ed è utile anche in caso di esito negativo.
La procreazione medicalmente assistita è una procedura in cui si giunge a una gravidanza con la fecondazione che avviene al di fuori del corpo della donna. Esistono diverse tecniche. In generale, gli ovociti, ossia le cellule uovo femminili, vengono fecondati in vitro, cioè in provetta. Quindi si ottengono embrioni che vengono trasferiti nell’utero. La donna deve prima seguire alcuni cicli di cure farmacologiche per preparare l’utero ad accogliere gli embrioni. Questi iniziano quindi a svilupparsi nel ventre materno.
Non si tratta di un dovere, ma di una scelta: se una coppia è classificata come infertile (dopo due anni di rapporti sessuali senza metodi contraccettivi) e vuole un figlio, può decidere di rivolgersi a un centro per la fertilità. Non è una via semplice, sia dal punto di vista fisico sia psicologico, per questo la decisione deve essere ben ponderata. È anche importante, se lo si desidera, non attendere troppo, soprattutto nel caso della donna. Dopo i 35-40 anni, infatti, come cala la fertilità, nella donna si riducono anche le chances di successo della fecondazione assistita. I centri presenti in Italia sono seri e qualificati, in grado di fornire l’assistenza medica e il supporto psicologico.
Fonti / Bibliografia
- La S.I.R.U. (Società Italiana della Riproduzione Umana)La S.I.R.U. (Società Italiana della Riproduzione Umana) Siru uniti per una pma umanizzata
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