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È una storia infinita quella della Legge 40, che regola la procreazione medicalmente assistita nel nostro Paese. È entrata in vigore nel 2004, ma in tutti questi anni, per effetto delle sentenze di più Tribunali che si sono espressi su casi singoli, degli interventi di Tar regionali, della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, molte cose sono cambiate. Al punto che da più parti si chiede una revisione totale della tanto discussa Legge 40. Ripercorriamo la storia delle sentenze (19 in tutto) e delle disposizioni più importanti successive alla promulgazione della legge.
I primi “ricorsi”
La prima sentenza è del 2004: il giudice del Tribunale di Cagliari consente una “riduzione embrionaria” per possibili rischi, nel caso di gravidanza plurima, alla donna che ne ha fatto richiesta. Tre anni dopo, il Tribunale di Cagliari interviene nuovamente, consentendo a una coppia di fare la diagnosi preimpianto per conoscere lo stato di salute dell’embrione. Una decisione prontamente seguita da una analoga del Tribunale di Firenze, mentre nel gennaio del 2008 il Tar del Lazio annulla la parte delle Linee guida della Legge che ammetteva come unica indagine quella “osservazionale”. In seguito a ciò, vengono emanate nuove Linee Guida a firma dell’allora ministro della Salute Livia Turco. Il Tar del Lazio, però, in quella stessa sentenza, solleva anche una questione di legittimità costituzionale della Legge 40 nella parte in cui stabilisce il limite di fecondazione con tre ovociti e l’obbligo di impianto contemporaneo per contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Questo “incidente”, seguito da altri due sollevati dal Tribunale di Firenze, fa sì che nell’aprile 2009 la Corte Costituzionale cancelli il limite dei tre ovociti e l’obbligo di un unico impianto, dichiarandole norme incostituzionali. Con questa sentenza, si sancisce, di fatto, la possibilità che gli embrioni in eccesso possano essere crioconservati.
Sulla diagnosi preimpianto
Con l’intervento della Corte Costituzionale la diagnosi preimpianto diventa quindi possibile in tutte le strutture abilitate alla procreazione medicalmente assistita. Seguono altre sentenze – del Tribunale di Bologna nel 2009 e di quello di Salerno nel 2010 – che aprono nuove possibilità anche per le coppie fertili (soltanto, però, quelle che presentano ricorso!). Mentre, infatti, la Legge 40 esclude dalla fecondazione assistita le coppie fertili, anche se portatrici di difetti genetici trasmissibili, i giudici decidono di equiparare la diagnosi preimpianto alla diagnosi prenatale, anticipando di fatto, gli accertamenti che probabilmente sarebbero stati eseguiti durante la gravidanza (villocentesi o amniocentesi).
Si pronuncia anche la Corte europea
Il panorama cambia nell’agosto del 2012, quando la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Carta europea dei diritti dell’uomo sullo stesso tema, in quanto l’esclusione delle coppie fertili dalla diagnosi preimpianto si configurerebbe come discriminazione. Provenendo da questa Corte, si tratta di una sentenza che ha valore per tutti. La diagnosi preimpianto, dopo questi interventi, oggi può essere eseguita in tutti i centri italiani autorizzati alla fecondazione assistita. I centri pubblici, però, spesso, non la eseguono. In questo contesto si inserisce la recente sentenza del Tribunale di Cagliari che ha disposto che una struttura pubblica si attrezzasse per assicurare diagnosi preimpianto e analisi genetica a una coppia che ne aveva fatto richiesta perché portatrice di una malattia genetica trasmissibile. È di poche settimane fa la notizia che la Corte di Strasburgo ha respinto il ricorso del governo italiano in difesa della Legge 40, che ora dovrà adeguarsi alla Carta europea dei diritti dell’uomo.