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Le speranze di avere un bambino, per coloro che ricorrono alla procreazione medicalmente assistita, potrebbero aumentare fino al 75-80 per cento. Alcuni ricercatori dell’Università di Oxford hanno messo a punto un nuovo test che permetterebbe di selezionare con maggiore precisione l’embrione più adatto all’impianto nell’utero. I risultati della ricerca sono stati presentati a Baltimora, durante la riunione annuale dell’American Society for Reproductive Medicine. Il nuovo screening potrebbe essere disponibile in Gran Bretagna entro sei mesi, al costo accessibile di poco più di 270 euro.
Aumenta la probabilità di impianto
Uno dei fattori più importanti, che influenzano il successo del trattamento di fecondazione in vitro, è la salute dell’embrione selezionato per il trasferimento nel grembo materno. Al momento i medici possono controllare i livelli di cromosomi ed embrioni studiandoli al microscopio, nel tentativo di scegliere quelli con le migliori possibilità di essere impiantati nell’utero. Questo però genera un tasso di successo del 60-65 per cento, il che significa che quattro interventi su dieci non funzionano. Invece, con il nuovo test, che costerebbe solo 200 sterline (circa 270 euro), i medici potranno controllare i livelli del Dna mitocondriale, cioè quello contenuto all’interno dei mitocondri, così come i cromosomi, eliminando degli embrioni difettosi e aumentando le probabilità di impianto a circa il 75 per cento.
Sempre più efficace la fecondazione in vitro
“Nessuno può contestare che la fecondazione in vitro abbia avuto un enorme successo – osserva il professor Dagan Wells del Centro di Ricerca Biomedica di Oxford – In qualsiasi scuola, almeno un bambino è nato con la fecondazione in vitro. Tuttavia ancora molte pazienti non riescono a rimanere incinte e alcune di esse hanno provato più volte il trattamento. Questo – sottolinea – comporta molte implicazioni emotive e finanziarie. C’è un grande desiderio di dare una maggiore certezza del risultato. Alcune donne hanno lo zero per cento di possibilità”. In diverse cliniche negli Stati Uniti si sperimenta già questa nuova procedura e gli scienziati inglesi ora sperano che la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) conceda loro l’autorizzazione a utilizzarla, entro sei mesi, in Gran Bretagna.
Attenzione al Dna mitocondriale
“Studiando gli interventi che non vanno a buon fine, ci siamo accorti che c’era troppo Dna mitocondriale e in questi casi non avviene l’impianto – spiega ancora il dottor Wells – Per un buon risultato, bisogna prendere un piccolo numero di cellule cinque giorni dopo la fecondazione dell’ovulo. In questo modo, la possibilità d’impianto aumenta a circa il 70-80 per cento. Alcuni embrioni hanno livelli anormali di Dna mitocondriale e ciò significa che non possono essere impiantati”. Gli fa eco il dottor James Toner della Society for Assisted Reproductive Technology: “Questo studio ci fornisce nuove conoscenze che possiamo usare per aiutare le pazienti a ottenere il migliore risultato possibile e solleva domande interessanti circa l’invecchiamento riproduttivo femminile.”
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