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È nato nella clinica Ivi (Instituto Valenciano de Infertilidad) di Bilbao, in Spagna, il primo bambino concepito con una nuova tecnica di fecondazione naturale chiamata AneVivo. Questo sistema consente la fecondazione e lo sviluppo embrionale precoce direttamente nell’utero, invece che in laboratorio.
Una nuova procedura
La procedura consiste nell’introduzione degli ovuli e degli spermatozoi, uniti in un dispositivo intrauterino, un microscopico tubo munito di micro pori, al cui interno vengono inseriti l’ovulo e gli spermatozoi e che viene quindi impiantato nell’utero. Successivamente lo strumento viene rimosso e si procede alla selezione degli embrioni più idonei che verranno nuovamente introdotti nell’utero materno. Questa tecnologia rende possibile il libero passaggio di fluidi, nutrienti e altri componenti cellulari e non cellulari attraverso una membrana porosa che agevola e rende più fisiologica l’interazione tra embrioni e ambiente materno, esponendo l’embrione appena formato allo stesso ambiente chimico in cui si sviluppa nel corso delle gravidanze naturali.
I vantaggi per l’embrione
Ivi di Bilbao è stata una delle prime cliniche a utilizzare questa tecnica e ha partecipato attivamente allo sviluppo della nuova tecnologia per la fecondazione. Daniela Galliano, direttrice del primo centro italiano Ivi a Roma, ha spiegato che questo metodo permette la fecondazione dell’embrione e lo sviluppo, fin dalle prime ore, nell’ambiente più idoneo, nelle stesse condizioni di luce, temperatura e nutrienti in cui si troverebbe se fosse stato concepito in forma naturale. E da un punto di vista psicologico, tutto ciò permette ai genitori di essere maggiormente partecipi del processo di procreazione assistita.
Approvata con riserva
La Human Fertilisation and Embryology Authority, organismo che regola l’utilizzo della fecondazione assistita nel Regno Unito, ha approvato l’utilizzo del nuovo dispositivo, sottolineando, però, che è troppo presto per sapere se la tecnica fornisca vantaggi reali per la salute del nascituro, e che potrebbe quindi rivelarsi solamente un’inutile spesa in più per i pazienti.