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Su 50 mila coppie italiane infertili che ricorrono alla fecondazione assistita, il 20% circa va all’estero. Inutilmente, secondo gli esperti. Infatti, in Italia ormai si può fare quasi tutto. E in sicurezza.
La legge 40
La legge che regola la fecondazione assistita in Italia è la legge 40. Molti la considerano una norma molto limitante, perché vieta alcune pratiche legali invece in altri Stati. In realtà, secondo i medici, c’è molta disinformazione in proposito. Il nostro è un Paese all’avanguardia per quanto riguarda le tecniche di procreazione assistita e offre ottime opportunità alle coppie che hanno problemi di fertilità. Il principale divieto, quello che impediva di ottenere più di tre embrioni per ciclo e obbligava a trasferire tutti gli embrioni ottenuti in utero, è stato giudicato incostituzionale nel 2009 e, dunque, abolito. Oggi, quindi, a differenza di quanto si pensa comunemente, è il medico a decidere che cosa fare, stabilendo quanti ovuli fecondare e quanti embrioni trasferire. Ovviamente questo avviene sempre nel rispetto dei principi generali della legge sulla fecondazione assistita, che sono di ottenere in vitro solo gli embrioni “necessari” a un esito ottimale.
Il problema della donazione
Attualmente il limite maggiore in Italia è rappresentato dalla donazione eterologa, cioè la donazione di ovuli e spermatozoi da parte di membri esterni della coppia. Occorre ricordare, però, che le uniche due vere ragioni che giustificano questa pratica sono l’incapacità del corpo della donna di produrre ovuli e una mancata produzione di spermatozoi da parte dei testicoli maschili. Si tratta di situazioni molto rare. In tutti gli altri casi – sostengono i medici – le tecniche disponibili in Italia sono sufficienti ed efficaci.
La diagnosi genetica
L’altro grosso limite della legge 40 è quello della diagnosi genetica preimpianto, ossia una serie di indagini mirate a diagnosticare anomalie genetiche sull’embrione ottenuto in laboratorio prima del trasferimento in utero. Di fatto, la legge la impedisce alle coppie portatrici o con malattie genetiche, che sono quelle che più di tutte avrebbero la necessità di conoscere la situazione genetica dell’embrione. Su questo fronte le cose potrebbero e dovrebbero migliorare. E anche qui i giudici sono già intervenuti con delle sentenze.
I centri all’estero sono meno sicuri
Non c’è ragione, quindi, per recarsi all’estero. Oltretutto, secondo Ermanno Greco, direttore del Centro di medicina e biologia della riproduzione dell’European Hospital di Roma “in altri Paesi segnaliamo una carenza di informazioni, di counseling e talvolta di qualità, oltre a quella che a volte si può definire come una deregulation totale sulla fecondazione assistita”. Insomma, i viaggi della speranza in Europa in questo ambito non solo sono inutili, ma possono rivelarsi anche pericolosi.