Argomenti trattati
La fecondazione eterologa sta assumendo un ruolo sempre più importante nella terapia della sterilità. Ma in Italia, dove la procedura è consentita dal 2014, continua a esserci un ostacolo rilevante, ovvero la carenza di donatrici di ovociti sotto i 35 anni di età (limite imposto per legge).
Perché in Italia non decolla
In Europa, l’Italia è tra i fanalini di coda in fatto di procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti, per mancanza di informazione, ma anche per una questione economica: siamo infatti uno dei pochissimi Paesi europei in cui non è previsto alcun rimborso per le donatrici di ovociti. Tale rimborso non è da intendersi come una retribuzione, bensì serve a compensare le spese sostenute e il tempo dedicato alla procedura di donazione, che è lunga e complessa. Uno studio condotto dalla Società europea di riproduzione umana ed embriologia su donatrici di ovociti provenienti da diversi Paesi europei ha mostrato che la motivazione principale della donazione è l’altruismo nei confronti di coppie che altrimenti non potrebbero avere figli. La motivazione economica nella maggior parte dei casi è secondaria, anche perché i rimborsi previsti in quasi tutti i Paesi consistono in cifre limitate.
Sempre più richieste
Nel nostro Paese un bambino su 30 nasce grazie alle tecniche di fecondazione assistita e oggi in Italia vengono eseguiti più di 97.000 trattamenti l’anno, di cui 6mila di fecondazione eterologa. Un numero destinato a salire data l’età sempre più alta degli aspiranti genitori, che fa sì che la popolazione di coppie in età riproduttiva debba ricorrere alla procreazione assistita nel 12-14% dei casi.
Si attinge all’estero
In Italia, l’assenza di una rete nazionale per la donazione ha conseguenze gravi, in quanto per far fronte alla domanda crescente di trattamenti di fecondazione eterologa, i Centri sono costretti a importare ovociti e spermatozoi da criobanche estere. Solo nel 2016 sono stati importati più di 6.000 criocontenitori di ovociti e più di 3.000 criocontenitori di liquido seminale, per una spesa stimata di circa 20 milioni di euro. Il ricorso a criobanche estere, peraltro, limita il controllo dei Centri sul materiale biologico, sulle condizioni di trasporto e può sollevare problematiche legate all’introduzione di patrimoni genetici diversi da quello italiano.