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Quando una coppia aspetta un bebè è del tutto normale fantasticare su come sarà. I futuri genitori trascorrono parte della gravidanza a chiedersi se il figlio avrà il viso della mamma, se sarà determinato come il papà o se magari assomiglierà ai nonni. E una volta nato il piccolo, lo scruteranno attentamente per trovare tracce del loro Dna. Tuttavia, nel momento la coppia è costretta a ricorrere alla fecondazione eterologa, il sogno di avere un piccolo “clone” di sé svanisce. In realtà, non è detto che sia così, perlomeno nel caso in cui si utilizzino gli ovuli di una donatrice. La speranza arriva da uno studio condotto da un team di ricercatori britannici, dell’Università di Southampton, pubblicato sulla rivista Development.
Che cosa succede con la fecondazione eterologa
La fecondazione eterologa si basa sull’utilizzo di ovuli femminili o di spermatozoi maschili donati da membri esterni alla coppia. In genere, si ricorre a questa soluzione quando uno dei due genitori ha problemi di fertilità. In pratica, si mettono a contatto i gameti donati con quelli del genitore fertile e si spera che avvenga la fecondazione. Nel caso in cui il procedimento vada a buon fine, il feto non ha alcun legame biologico con il genitore infertile, il quale non può quindi trasmettere il proprio Dna al figlio. Questo perlomeno era quanto si pensava fino a poco tempo fa. In realtà, il nuovo studio suggerisce che nel caso delle mamme non è così.
Tracce di Dna nel liquido amniotico
Lo studio è stato condotto su alcune donne incinte che erano ricorse alla fecondazione eterologa. Gli autori hanno prelevato una piccola quantità di liquido uterino, all’interno del quale cresce il feto, e l’hanno sottoposto a sofisticate indagini di laboratorio. Hanno così scoperto che in tutti i campioni prelevati erano presenti diverse tracce di Dna materno. Non solo. Hanno anche visto che questo materiale partecipa allo sviluppo dell’embrione, giocando un ruolo importante da questo punto di vista.
Fra mamma e bebè c’è sempre uno scambio
Serviranno nuove ricerche per confermare se la mamma riesca a trasmettere il proprio Dna al figlio, anche se ha fatto ricorso alla fecondazione eterologa. Tuttavia, secondo gli esperti già ora ci sono gli elementi per concludere che fra le donne che concepiscono grazie al ricorso a ovuli donati e i figli che portano in grembo c’è uno scambio di materiale genetico. “Uno dei crucci principali delle donne che si sottopongono ai trattamenti che prevedono l’uso di ovuli di donatrici è proprio quello di avere la consapevolezza che il bambino che porteranno in grembo non avrà nulla di loro. Ora sappiamo che non è proprio del tutto così” hanno spiegato gli autori della ricerca.