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Anche le coppie italiane che ricorrono alla fecondazione assistita hanno la possibilità di effettuare la diagnosi preimpianto. Ma in che cosa consiste esattamente questa pratica e quando va fatta? Ecco le risposte alle dieci domande più comuni, tratte dalla guida “Diagnosi preimpianto, istruzioni per l’uso”, realizzata dal Centro Demetra.
Di che cosa si tratta?
La diagnosi preimpianto (o Pgd dall’inglese Preimplantation genetic diagnosis) è la forma più precoce di diagnosi prenatale. Consiste nell’analisi di alcune cellule prelevate dagli embrioni prima del loro possibile trasferimento.
A che cosa serve?
Attraverso la diagnosi preimpianto è possibile selezionare gli embrioni migliori da trasferire in utero, eliminando quelli che potrebbero essere affetti da malattie gravissime, quelli che non si impianterebbero o verrebbero abortiti e quelli da cui nascerebbero bambini con gravi alterazioni cromosomiche.
In quali casi è indicata?
Innanzitutto, la diagnosi preimpianto è indicata quando in famiglia ci sono casi di malattie genetiche molto rare, che possono causare disabilità gravi nel bambino o addirittura la morte. È consigliata anche alle coppie che hanno eseguito alcuni cicli di trattamento con transfer negativi o aborti spontanei e nelle donne con più di 38 anni che desiderano aumentare le probabilità di avere una gravidanza di successo.
Quali malattie permette di individuare?
Citiamo le più comuni: emofilia A e B, beta-talassemia, distrofia muscolare di Duchenne e Becker, fibrosi cistica, sindrome X fragile, atrofia muscolare spinale.
Che impatto psicologico ha?
Da un lato, diminuisce lo stress delle coppie perché permette di selezionare l’embrione e ridurre il rischio di aborti. Dall’altro, i tempi di attesa, la non certezza di riuscita della gravidanza, la possibilità (seppur minima) di errori possono essere motivo di ansia.
Si può fare in Italia?
Da qualche anno sì. Dopo la battaglia portata avanti dalle coppie che dovevano effettuare una diagnosi preimpianto, la Corte Costituzionale ha modificato la legge 40 sulla fecondazione assistita, rendendo questa pratica legale anche in Italia. Dal 2015 può essere effettuata anche dalle coppie fertili portatrici di malattie genetiche. Al momento, però, non è inclusa nel Servizio sanitario nazionale.
Si tratta di una procedura sicura?
Secondo la letteratura scientifica, la biopsia degli embrioni al 5° giorno di sviluppo (stadio di blastocisti) non interferisce sulla loro vitalità. A patto che l’embriologo che esegue la procedura sia esperto e prelevi un numero sufficiente ma non eccessivo di cellule. Per quanto riguarda la risposta, la percentuale di accuratezza della diagnosi preimpianto è molto alta, ma esiste una possibilità di errore dell’1%. Ecco perché si consiglia alla coppia di ricorrere anche a una diagnosi prenatale come la villocentesi o l’amniocentesi.
Quali sono le percentuali di successo della gravidanza successiva?
Ovviamente devono esserci embrioni trasferibili. In questo caso, la percentuale varia a secondo del tipo di diagnosi genetica preimpianto, ma in media supera il 40%.
A chi bisogna rivolgersi per effettuarla?
A un centro specializzato in fecondazione assistita che possa indirizzare la coppia sul percorso da seguire. Prima di procedere con questa tecnica, è necessario fare un colloquio con il genetista e il ginecologo, eseguire gli esami clinici preliminari e poi sottoporsi al trattamento di procreazione medicalmente assistita (Pma).
Quali centri scegliere?
Meglio scegliere un centro che abbia una buona percentuale di embrioni che arrivano allo stadio di blastocisti e dove gli embrioni vengano prelevati in 5°/6°/7° giornata. Il centro deve poi eseguire biopsie regolarmente e avere una buona esperienza nella vitrificazione degli embrioni e alte percentuali di gravidanza da trasferimenti di embrioni precedentemente crioconservati.