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Tre milioni di italiane soffrono di endometriosi, specialmente nella fascia di età tra i 29 e i 39 anni. In Europa sono 14 milioni. Secondo statistiche americane, metà delle donne malate consultano in media 5 specialisti prima di arrivare a una diagnosi. Un riconoscimento tardivo rallenta le cure, con effetti importanti sulla qualità di vita.
Di che cosa si tratta
Nell’endometriosi, tessuto simile all’endometrio (il tessuto che riveste la parete interna dell’utero) “si sposta” al di fuori dell’utero e provoca la formazione di lesioni, specialmente nell’addome, ma talvolta anche in organi esterni all’apparato riproduttivo, come intestino, vescica, reni, ureteri, vagina e cervice.
Manca ancora una terapia efficace
Attualmente non esiste una cura risolutiva per l’endometriosi. Le misure possibili (farmaci e chirurgia) mirano a controllare la progressione della malattia, ridurre le probabilità di recidiva e alleviare i sintomi, cioè a contenere il dolore e/o a contrastare l’infertilità.
Le cure ormonali
Le donne che non desiderano figli possono affidarsi alle cure ormonali: preparati estroprogestinici o progestinici assunti continuativamente, che consentono di mantenere basso o stabile nel sangue il livello di estrogeni e, dopo un intervento chirurgico, di ridurre il rischio che l’endometriosi si ripresenti. Per chi progetta una maternità, ci sono due possibilità: l’intervento chirurgico e la fecondazione in vitro.
La nuova frontiera
Ora in Italia è disponibile una nuova cura, “mutuata” dalla Svizzera: la neuropelveologia. Messa a punto dal professor Marc Possover, direttore medico del Neuropelveology Center di Zurigo, la neuropelveologia si prefigge come obiettivo un ripristino completo di tutte le funzioni sessuali, vescicali e intestinali, risolvendo il dolore e preservando i nervi della pelvi. A portare in Italia la neuropelveologia è stato il dottor Vito Chiantera, direttore dell’Unità operativa di ginecologia della Fondazione di ricerca e cura “Giovanni Paolo II” di Campobasso.