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Tra le priorità dei genitori, c’è sicuramente garantire ai figli un’infanzia serena, risparmiando loro momenti difficili e occasioni dolorose. In realtà, secondo uno condotto negli Stati Uniti su oltre 200 ragazzini di età compresa tra i 9 e i 13 anni, lo stress nei bambini può anche avere un risvolto positivo, perché attiverebbe le capacità di reazione del sistema nervoso.
La ricerca sui giovanissimi
Questo ovviamente non deve far pensare che sia legittimo, per esempio, litigare davanti ai figli o lasciare che vivano brutte esperienze. È vero il contrario: la serenità è un diritto dei più piccoli e va sempre tutelata. Le eventuali difficoltà, le occasioni di tristezza, insomma alcuni eventi stressanti per i bambini non li mettono, però, fuori combattimento. Anzi, sembrano stimolare capacità mentali di adattamento e di resilienza, che li aiuta a maturare e a trovare in se stessi risorse inaspettate.
Lo studio americano
È giunto a questa conclusione uno studio statunitense svolto su 214 ragazzi tra i 9 e i 13 anni, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cerebral Cortex, per analizzare l’elaborazione da parte dei neuroni delle esperienze socio-emotive, valutando anche il processo di invecchiamento cellulare dei neuroni stessi. I giovanissimi sono stati seguiti per due anni, durante i quali gli autori dello studio hanno esaminato le ripercussioni dell’early life stress (ossia lo stress nei bambini) sui circuiti della corteccia frontale e prefrontale e sull’amigdala, ossia le aree del cervello che gestiscono le emozioni.
Analizzate le parti finali dei cromosomi
In una fase iniziale, i ragazzini dovevano riferire agli scienziati se avevano assistito a disastri naturali, incidenti o violenze di qualche tipo. Sono stati riferiti eventi stressanti per i bambini come attacchi di cuore di persone care, spostamenti ripetuti, litigi tra genitori, morte di una persona, atti di bullismo, divorzio dei genitori, essere stati coinvolti in un incidente stradale, problemi finanziari, furti, violenza domestica, disastri naturali. Inoltre i ricercatori effettuavano il prelievo di un campione di saliva, per individuare filamenti di Dna e analizzare la lunghezza dei telomeri, le parti terminali dei cromosomi. I telomeri alla nascita hanno una certa lunghezza che si riduce con il passare degli anni. Infine sono state eseguite risonanze magnetiche mentre i partecipanti osservavano immagini raffiguranti persone che esprimevano diverse emozioni. È emerso che, nei bambini i quali avevano vissuto più esperienze negative, le due aree cerebrali, pur anatomicamente distanti, si attivano in modo sincronizzato e che la corteccia prefrontale tende a silenziare l’amigdala, deputata al controllo della paura.
Proteggerli sì, soffocarli no
Questo significa che il modo di reagire alla paura e al dolore nei ragazzini era più maturo e attivo, simile a quello degli adulti. I telomeri nei bambini che avevano vissuto esperienze difficili erano più lunghi dei coetanei che non avevano subito stress: segno di un’attività cognitiva più intensa. Gli esperti sono giunti alla conclusione che gli eventi stressanti per i bambini non causano turbe nella crescita o difficoltà, ma possono anzi sviluppare inaspettate risorse mentali di reazione e resilienza verso le difficoltà, trovando in se stessi più capacità per emergere e reagire senza conseguenze. Lo studio conferma con dati neurobiologici quello che gli esperti sospettavano da tempo. È importante sicuramente proteggere i bambini e non sottoporli a traumi fisici o psicologici con l’idea distorta di temprarli, garantendo un ambiente sereno come suggeriscono anche gli esperti. I figli vanno però lasciati scegliere, decidere, vivere le loro esperienze, anche quando non sono sempre positive perché le difficoltà e lo stress fanno parte della crescita.
Fonti / Bibliografia
- Early Life Stress, Frontoamygdala Connectivity, and Biological Aging in Adolescence: A Longitudinal Investigation | Cerebral Cortex | Oxford AcademicAbstract. Early life stress (ELS) may accelerate frontoamygdala development related to socioemotional processing, serving as a potential source of resilien