Di solito è in corrispondenza con l’ingresso alla scuola materna che le parolacce fanno la loro comparsa sulla bocca del bambino: quasi sempre la prima esperienza di vita sociale allargata del piccolo si associa anche alla scoperta di “parole speciali” che, inizialmente, accendono solo la curiosità del bambino.
Nella maggior parte dei casi il bambino non ne comprende il significato ma le ripete soprattutto per imitare i compagni che vi ricorrono abitualmente, di solito i più grandicelli che, come è naturale, esercitano sui più piccoli un forte potere di attrazione. Solo in seguito, accorgendosi delle reazioni di scandalo degli adulti, il bimbo comincerà a scoprirne il senso e scoprirà il potente effetto che sono in grado di produrre.
La reazione che la pronuncia di una parolaccia può provocare, infatti, non fa che aumentare il fascino di questi vocaboli agli occhi del bambino che, in questa fase iniziale, viene spesso indotto a usarle più di frequente proprio allo scopo di trasgredire le regole degli adulti e in tal modo sentirsi più “grande”.
Confrontandosi giorno per giorno con gli altri bambini all’asilo e poi a scuola avrà anche modo di sperimentare come le parolacce possano rappresentare un’arma di cui servirsi in alternativa a calci e pugni nel corso di una lite.
Un’altra funzione che il turpiloquio svolge è quella di offrire al piccolo una valvola di sfogo, un strumento per esprimere le pulsioni profonde connesse alle successive tappe della sua maturazione psicofisica:
- verso i 2-3 anni, età della cosiddetta “fase anale”, in cui il piccolo raggiunge il controllo degli sfinteri (ovvero la capacità di trattenere urina e feci), vengono pronunciate quasi sempre le parolacce che riguardano le produzioni del proprio corpo (cacca);
- fra i 3 e i 7 anni l’interesse del bimbo si trasferisce sulle parole connesse alla sfera della sessualità e, in particolare, agli organi genitali. Nel corso di questi anni (“fase fallica”) il bambino scopre, infatti, la differenza tra maschi e femmine e avvia la progressiva strutturazione della propria identità sessuale.
Per cercare di limitare il ricorso alle parolacce, è consigliabile anzitutto adottare un atteggiamento chiaro e inequivocabile sin dalla prima loro comparsa: in quell’occasione al bambino andrebbe spiegato con calma e decisione che si disapprova quel modo di esprimersi. Fondamentale è, però, rafforzare questa posizione con la coerenza del proprio comportamento: non si può pretendere che il piccolo non dica le parolacce se poi sono proprio mamma e papà, ovvero i suoi principali modelli di riferimento, a ricorrervi abitualmente. Un’altra importante regola da seguire consiste nell’evitare reazioni eccessivamente scandalizzate: ciò rischia, infatti, di amplificare il potere e la forza di attrazione delle parolacce spingendo il bimbo a ripeterle.