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Il decesso del piccolo Francesco di sette anni a causa di un’otite bilaterale non curata perché trattata solo con prodotti omeopatici ha scatenato molte polemiche sull’omeopatia. Il bambino, in cura da un medico omeopata negli ultimi tre anni, era stato curato con rimedi omeopatici senza ricorrere a cura antibiotica. Da qui l’aggravamento delle sue condizioni che hanno portato al decesso del piccolo. E a nulla sono valsi i tentativi di salvarlo da parte dei medici, che erano intervenuti anche con una delicata operazione chirurgica per rimuovere l’infezione che aveva aggredito il tessuto cerebrale.
Non demonizziamo l’omeopatia
Sbagliato, però, demonizzare l’omeopatia. “L’omeopatia è una metodologia di cura che la pratica clinica ci ha ampiamente dimostrato avere buona efficacia. È una opzione terapeutica che va utilizzata, così come le altre opzioni terapeutiche, per inquadrare e curare le malattie. Dobbiamo, insomma, considerare l’omeopatia come una metodologia che dà degli strumenti in più per affrontare alcuni disturbi”, spiega Mauro Mancino, pediatra di libera scelta di Pesaro. “Certo è che il medico deve sapere quale sia, tra le varie terapie possibili, quella migliore per il paziente. E bisogna poi tenere conto del fatto che l’efficacia dell’omeopatia deve essere testata sulle singole persone, che reagiscono tutte in modo diverso”.
Fino a che punto?
Diverse sono le condizioni che possono essere trattate con l’omeopatia, sia nei grandi che nei piccoli, “anche per lunghi periodi. Tra queste ci sono le cosiddette patologie invernali – raffreddore, tosse, mal di gola -, ma anche traumi e disfunzioni di vario tipo possono trovare sollievo con l’omeopatia”. In caso, invece, di infezioni acute o condizioni che peggiorano, “l’omeopatia può essere utilizzata in modo complementare, lasciando il posto a farmaci come gli antibiotici. Non dobbiamo dimenticare che siamo medici e il nostro scopo è la cura del malato, con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione”.