Inside Out 2: come insegnare a bambini e adolescenti a gestire la complessità delle emozioni

Roberta Raviolo A cura di Roberta Raviolo Pubblicato il 28/06/2024 Aggiornato il 01/07/2024

L'ultimo film della Pixar con Disney parla delle emozioni complesse e non sempre piacevoli che si sviluppano in pre adolescenza e pubertà. Vediamo come i genitori possono aiutare i figli ad accettarle e gestirle, con l'aiuto della psicologa Simona Solimando.

Locandina Inside Out 2

Il film Inside Out 2 affronta un tema delicato, quello delle emozioni complesse in bambini e adolescenti. I figli giovanissimi non hanno ancora gli strumenti per imparare a gestire queste sensazioni, soprattutto spiacevoli come ansia, imbarazzo, noia, invidia che ingenerano malessere.

I genitori possono insegnare ai più piccoli a conoscere e ad affrontare le emozioni, in primo luogo accettando che i figli possano non essere sempre felici, ma che attraversino normali momenti negativi. Ammettendole nel proprio animo senza rifiutarle, imparando a chiamare le emozioni con il proprio nome, i bambini e gli adolescenti si abituano a gestirle, a non lasciarsene soggiogare e anzi a trasformarle in un punto di forza. Simona Solimando, psicologa presso il centro Sant’Agostino di Milano, ci spiega come affrontarle.

Le nuove emozioni nel film Inside Out 2

Inside Out 2 è il nuovo film Pixar Animation Studios distribuito da Walt Disney, proiettato in tante sale cinematografiche tra cui quelle di The Space Cinema, sta riscuotendo un grande successo in Italia e nel mondo. Vale la pena di andare a vederlo con i figli, dall’età scolare all’adolescenza. Oltre a essere divertente, infatti, Inside Out 2 insegna ai ragazzi a gestire le emozioni, in un linguaggio divertente e semplice da capire. Alle emozioni tipiche dell’infanzia, protagoniste del primo Inside Out, quindi Gioia, Disgusto, Paura, Rabbia e Tristezza, se ne aggiungono altre, del tutto nuove. Queste sono Ansia, Invidia, Imbarazzo ed Ennui ossia Noia, del tutto sconosciute. Riley infatti, la bimba protagonista anche del primo lungometraggio, è adesso una teenager che si appresta a entrare al liceo. Le nuove emozioni descritte nel film, quindi, sono quelle dell’età adolescenziale, che porta con sé nuove sfide sulla scorta di esperienze con il mondo esterno.

Adolescenti ed emozioni, che cosa succede

In adolescenza gli interessi degli adolescenti si spostano progressivamente all’esterno rispetto al micrococosmo della famiglia e si ridefiniscono i confini nel loro universo di riferimento. Il gruppo inizia a rivestire un ruolo sempre più importante e il contatto con i coetanei porta inevitabilmente a confronti che suscitano delle reazioni. Soprattutto nella prima fase dell’adolescenza, tra gli 11 e i 15 anni, i giovanissimi iniziano a concepire la realtà in un modo più strutturato e complesso, cogliendo sfumature che nell’infanzia erano sconosciute. Il corpo cambia in funzione di modificazioni ormonali che influenzano anche il sistema cognitivo. Emozioni e sensazioni si fanno più complesse, ma i giovanissimi non hanno ancora sufficiente esperienza e razionalità per gestirle.

A che età si sviluppano Ansia, Invidia, Noia, Imbarazzo?

Durante l’infanzia e l’adolescenza non si è ancora verificata la maturazione della corteccia prefrontale, un’area del cervello che permette di controllare gli impulsi, organizzare il pensiero critico, pianificare e prendere decisioni strutturate, inibire atteggiamenti inappropriati e controllare reazioni. Dall’altro lato è particolarmente attivo il sistema limbico, zona del cervello che è coinvolta nelle reazioni emotive. La conseguenza è che bambini e adolescenti sono istintivi, reagiscono sulla base delle sensazioni immediate senza riflettere.

Anche il sistema dopaminergico (che assicura la sensazione di gratificazione rispetto alle proprie azioni e alla realtà) è ancora immaturo. Questo porta i giovanissimi a cercare piacere e sensazioni forti, anche attraverso esperienze potenzialmente pericolose. Anche le emozioni sono intense, più in negativo che in positivo. Sensazioni che provavano anche da bambini si trasformano, raggiungendo confini estremi. Ed ecco che iniziano a farsi sentire emozioni sconosciute prima, che non fanno stare bene, anzi.

Ansia e invidia

Succede spesso quindi che la rabbia, già provata da bambini, si trasformi in collera, che la tristezza diventi tendenza alla depressione e la paura evolva in ansia. “Le emozioni degli adolescenti sono spesso performative, ossia nascono dal confronto con il mondo esterno” spiega la dottoressa Simona Solimando. “L’ansia, per esempio, deriva dalla paura di non essere all’altezza in una determinata situazione, che sia a scuola, nello sport o con gli amici. Anche l’invidia è un’emozione negativa tipica di questa fase, perché gli adolescenti confrontano se stessi, la propria fisicità e capacità con modelli esterni, che spesso ritengono irraggiungibili”. 

Noia e imbarazzo

Anche la noia e l’imbarazzo sono sensazioni tipiche di questo periodo. La noia può essere definita un’emozione ed è fortemente negativa: l’adolescenza è la fase della vita in cui la si sperimenta a livelli più intensi. Consiste nella fatica, nel fastidioso disagio di doversi dedicare ad attività che non suscitano alcun tipo di interesse, provando, di rimando, una sensazione di apatia e vuoto. La noia è dovuta alla mancanza di capacità compensatoria degli adolescenti, sempre per l’immaturità del sistema dopaminergico, ma non solo: cambiano gli interessi e non se ne ridefiniscono ancora di nuovi, quello che interessava durante l’infanzia non attrae più, ma ancora non si riesce a comprendere quello che piace e che coinvolge.

L’imbarazzo è un’emozione dovuta all’ipersensibilità emotiva dei giovanissimi. È una sgradevole sensazione che si prova quando la percezione di se stessi si scontra con qualcosa che nell’ambiente è percepito come ostile o fuori luogo. L’adolescente prova imbarazzo per alcune affermazioni su di lui o lei da parte dei genitori in pubblico, per il comportamento di una persona davanti agli altri. Le cause scatenanti sono spesso episodi banali, che l’adolescente percepisce alla massima potenza.

Quando si parla di emozioni represse?

Il problema sorge quando si tratta di imparare a gestire le emozioni, un aspetto non semplice, tanto che esistono progetti per insegnarlo a scuola. Infatti emozioni come invidia, collera, noia sono considerate negative: le persone che le provano sono in qualche modo “sbagliate”, soprattutto se si tratta di un bambino o di un adolescente che i genitori vorrebbero sempre sereno, felice, privo di sensazioni che lo facciano stare male, e sono considerate socialmente “fuori luogo”. Nasce così il problema delle emozioni represse, un altro momento fondamentale che viene affrontato nel film Inside Out 2: non ci si può impedire di provarle, ma tendiamo a nasconderle agli altri e anche a noi stessi.

Reprimere un’emozione, per esempio la rabbia nei bambini, è pericoloso, perché può avere conseguenze negative sull’equilibrio psicofisico” avverte la dottoressa Solimando. “Per esempio, nascondere la rabbia senza sfogarla porta a macerarsi dentro, a diventare persone insoddisfatte e litigiose, a non riuscire più avanti a stabilire relazioni affettive sane”. Inoltre si possono avere problemi fisici veri e propri, come tensioni muscolari croniche e difficoltà digestive. Insegnare a non nascondere a se stessi le emozioni è insomma un modo per promuovere il benessere di bambini e adolescenti.

Come aiutare bambini e adolescenti

È normale per i genitori desiderare che i propri figli, da piccoli e da adolescenti, provino solo emozioni positive come gioia, allegria, entusiasmo. Le emozioni negative come tristezza, ansia, invidia sono però del tutto normali e fanno parte del ventaglio emotivo di ciascun individuo. Anzi, partendo da questa consapevolezza si può fare molto per aiutare i propri figli a gestire le emozioni, positive o negative, per accettarle e non farsi dominare da esse. Ecco qualche consiglio.

  • Non avere fretta. I bambini e gli adolescenti devono crescere anche dal punto di vista emotivo e cognitivo. È necessario molto tempo, a volte fino ai 18-20 anni, perché il sistema nervoso sia maturo e le varie aree inizino a collaborare tra loro. Solo a questo punto i ragazzi saranno in grado di vivere le emozioni di qualsiasi tipo, in modo più equilibrato. Diamo quindi, a noi stessi e ai nostri ragazzi, il tempo necessario.
  • Dare il nome alle emozioni. Non si deve avere paura di chiamare le emozioni con il loro nome, anche se non sono piacevoli. Così facendo si accorcia la distanza emotiva con esse. Per esempio si può dire al figlio: “Sei triste? Hai ragione, lo sarei anch’io se mi fosse capitata la stessa cosa”. È un modo di condividere un sentimento anche negativo, che ha l’effetto di confortare il bambino.
  • Evitare i rimproveri. Provare un’emozione negativa è normale e non per questo si è cattive persone. Il bambino o ragazzo lo deve accettare, quindi è bene evitare critiche o rimproveri al bambino, del tipo: “non essere triste, non ne hai motivo”, oppure “non devi andare in collera, è brutto e non sta bene”. Queste espressioni hanno l’unico effetto di far sentire il bambino sbagliato, portandolo a reprimere le sue sensazioni e a rifiutarle, con effetti negativi sul piano della crescita emotiva.
  • Dare il buon esempio. Gli adulti sono per molti anni il punto di riferimento dei figli. L’atteggiamento di mamma e papà quindi è essenziale per modellare il proprio comportamento nei confronti delle emozioni. Un ragazzino trarrà sicuramente un insegnamento positivo da un genitore che, per quanto arrabbiato, cerca di ragionare sul problema senza dare in escandescenze, oppure che quando è triste ammette di esserlo cercando però di trovare nuovi stimoli per tornare sereno.
  • Lasciare liberi i figli. “È importante donare ai propri figli la libertà di essere diversi da come i genitori li hanno voluti voluti e desiderati” aggiunge la psicologa. “Se i genitori nutrono attese o aspettative rigide, rischiano di accompagnare i figli verso un destino infelice. Invece è fondamentalmente creare uno spazio mentale e relazionale in cui i figli possano pian piano crescere e determinarsi perché “pensati” da qualcuno che li vede nei loro bisogni. Si dovrebbe insomma sintonizzarsi con i loro desideri, avendo in mente le loro inclinazioni anche se diverse dalle proprie, così da accompagnarli nel loro processo di crescita evolutiva”.

Il legame tra ansia e attacco di panico

Nel film Inside Out 2, un ruolo importante è svolto dall’ansia, un’emozione purtroppo molto diffusa tra i bambini e gli adolescenti di oggi. L’ansia è la reazione anticipatoria a uno stimolo o ad un evento che si percepisce come negativo o pericoloso, che si teme possa accadere in futuro. Si tratta sempre di una percezione soggettiva, che causa però un vero e proprio malessere con paura, apprensione, tensione psicofisica. Se non si riesce a capire che il proprio figlio sta vivendo un momento caratterizzato da problemi di ansia, si rischia di sottovalutare una situazione potenzialmente pericolosa. L’ansia infatti (ma anche la depressione) può infatti causare una condizione più seria, il disturbo da attacchi di panico. L’attacco di panico ha manifestazioni diverse dall’ansia: si accompagna infatti a malesseri fisici intensi, come accelerazione del battito cardiaco, sudorazione abbondante, senso di oppressione al petto, impressione di morire.

Come aiutare un figlio con attacco di panico

L’attacco di panico provoca un malessere fisico e psichico così intenso che il ragazzo spesso chiama l’ambulanza o si reca al pronto soccorso” avverte la dottoressa Solimando. “Si tratta di un’esperienza spaventosa, che innesca la paura di perdere il controllo e di non poter uscire da quella situazione. In seguito subentra il timore che si ripresenti e questo va a compromettere la salute psico-fisica perché diventa invalidante talvolta fino a condurre al ritiro e all’evitamento di determinate situazioni sociali”. È importante che i genitori siano consapevoli che questo è un vero problema per un figlio, bambino o adolescente che sia, che non sminuiscano le sue sensazioni e non lo rimproverino”. I genitori possono infatti fare molto per aiutare i figli. Ecco qualche suggerimento.

Respirare. È utile porsi accanto al proprio figlio e dirgli di respirare con calma, con inspirazione ed espirazione ampie e profonde. La respirazione rappresenta la prima forma di attenzione e di cura verso se stessi, perché significa arricchirsi di ossigeno, eliminare le tossine, la sfera emotiva con quella mentale. Già dopo una inspirazione si avvertono i sintomi ansiosi negativi in modo meno intenso, come se dalla testa fossero defluiti in basso. I genitori possono fare questo insieme ai figli: soprattutto se sono piccoli, è di grande aiuto.

Spiegare. Anche nel caso dell’attacco di panico è importante chiamare questa emozione, per quanto dolorosa e negativa, con il suo nome. Non va respinta, ma accolta e ascoltata, perché insegna che corpo e mente stanno comunicando che qualcosa non va. È quindi una percezione del tutto normale.

Provare con esercizi. Per aiutare la mente a calmarsi e, quindi, per controllare le reazioni fisiche, è utile fare esercizi come contare all’indietro da 100 a zero, anche saltando per esempio i numeri dispari. È anche efficace visualizzare i pensieri negativi come fossero un oggetto o una candela e durante la espirazione allontanarli o addirittura spegnerli con il respiro.

Rilassare i muscoli. Si può insegnare al bambino o ragazzo di visualizzare il proprio corpo nel suo insieme, poi di immaginare le singole parti e concentrarsi su di esse per favorire il rilassamento. Si può partire da mani e piedi per passare poi a braccia e gambe, quindi alla parte centrale del corpo immaginandola sempre più rilassata e calma.

Immagine di copertina: courtesy of ufficio stampa The Space Cinema

In breve

Se nell’infanzia, oltre alla gioia, i bambini provano rabbia, paura, tristezza, nell’adolescenza si cominciano a provare invidia, imbarazzo, ansia, noia. Queste emozioni fanno parte della crescita e con la maturazione cognitiva si impara a gestirle. Nel frattempo, i genitori possono aiutarli con l’esempio di manifestazioni equilibrate, lasciandoli liberi di provare sensazioni anche negative senza farli sentire sbagliati

 

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