Trottolina
C’era una volta un vecchio tornitore che faceva trottole d’ogni forma e d’ogni grandezza. Quand’era la stagione delle trottole, i ragazzi si affollavano nella sua bottega: “Tornitore, mi fate una trottola?” “Piccola o grande? Piatta o col cocuzzolo?” Secondo che la volevano piccola o grande, piatta o col cocuzzolo, egli adattava subito un pezzetto di legno al suo tornio, e con un piede sul pedale e in mano lo scalpello, si metteva a lavorare lesto lesto, brontolando:
“Trottolina, piatta piatta,
Gira gira e fa la matta!”
Oppure:
“Trottolone fatto a pera,
Gira gira fino a sera!”
E continuava a brontolare così, fino a che la trottola non era bell’e finita. Quel brontolìo era lo spasso dei ragazzi, che spesso gli facevano il verso:
“Trottolina, piatta piatta,
Gira gira e fa la matta!
Trottolone fatto a pera,
Gira gira fino a sera!”
“Ecco qua. Due soldi, tre soldi.” E i ragazzi andavano via contenti come pasque. Un giorno passò davanti a quella bottega il Reuccio e si fermò a guardare.
Il tornitore stava per terminare una bella trottola e brontolava, al suo solito, senza levar gli occhi dal lavoro. “Tornitore, fatemi una trottola anche per me.” “Piccola o grande? Piatta o col cocuzzolo?” “Piccina piccina.” “Sarà servito. Vedrà che trottolina. Parlerà.” E subito con un piede sul pedale e in mano lo scalpello, si mise a lavorare lesto lesto, brontolando:
Trottolina piccinina,
Pel Reuccio gira gira.
Trattandosi del Reuccio, il tornitore andò egli stesso dal fabbro ferraio per far mettere alla trottolina un picciuolo di ferro ben limato e lisciato e il giorno appresso la portò al palazzo reale: si attendeva un grosso regalo. La trottolina gli era riuscita una bellezza. Prima di andare a consegnarla, l’aveva provata. Girando, faceva un brisìo lieve lieve; non che parlare, pareva cantasse. Quando aveva detto al Reuccio “La trottolina parlerà”, il povero tornitore intendeva dire appunto di quel brusìo. Il Reuccio però non l’aveva capita così. E visto che la trottola non parlava, si mise a strillare e a pestare i piedi: “Voglio la trottolina che parla! Voglio la trottolina che parla!” Accorsero il Re e la Regina. Il tornitore spiegando la cosa, tremava come una foglia. Intanto il Reuccio continuava a strillare e a pestare i piedi: “Voglio la trottolina che parla!” Disse il Re al tornitore: “Tu hai promesso di fare al Reuccio una trottolina che parla e bisogna che parli. Se domani non gli porti la trottolina parlante, guai a te!”
Il tornitore andò via più morto che vivo. “Ah! Poverino a me! Come fare una trottolina che parli davvero?” Quella notte non chiuse occhio, piangendo e lamentandosi: Poverino a me! La mattina venne un servo del palazzo reale: “Sua Maestà vuole la trottolina che parla.” A un tratto il tornitore ebbe un’idea; tutto allegro andò dal Re: “Maestà, la trottolina l’ho fatta io; ma la lingua gliel’ha fatta il fabbro ferraio; se la trottolina non parla, è colpa sua.” Il Re si capacitò. “Aspetta lì; mandiamo a chiamare il fabbro ferraio.” E il fabbro ferraio venne: “Maestà, che comanda?” “La trottolina del Reuccio dovrebbe parlare; il tornitore l’ha fatta e tu gli hai messo la lingua di ferro; gliel’hai messa male. Se domani non mi riporti la trottolina parlante, guai a te!” Quel furbo rispose: “È vero, Maestà; io le ho messo la lingua, ma la bocca gliel’ha fatta lui; se la trottolina non parla, è colpa di chi non ha saputo farle bene la bocca.” “Ah! Ve la mandate dall’uno all’altro?… O domani riporterete qui la trottolina parlante, o guai a voi.” Andarono via tutti e due più morti che vivi. “Ah, poverini noi! Come fare una trottolina che parli davvero?” “Andiamo da un Mago” disse il fabbro ferralo. “Chi sa? Potrà farcela lui.”
E andarono subito dal Mago. Giusto egli aveva per le mani una bambolinuccia che parlava. “Date qua la trottolina.” V’incollò la bambola sopra, avvolse attorno al picciuolo il laccetto, e fece girare la trottola per prova. La trottola girava e la bambola parlava: “Buongiorno, Reuccio! Buonasera, Reuccio!” Il Reuccio, com’ebbe quella trottolina, si mise a saltare dalla gioia. Il Re fece al tornitore e al fabbro ferraio un magnifico regalo, ed essi ne portarono una buona parte al Mago. “Tenete tutto per voi; io non voglio nulla”. Il Reuccio passava le giornate facendo girare la trottola. E la trottola: “Buongiorno, Reuccio! Buonasera, Reuccio!” Alla bambola egli aveva messo nome Trottolina, e non voleva fare il chiasso altro che con lei. Crebbe, e intanto non cessava mai di giocare a trottola; il Re n’era seccato. “Non sei più un ragazzo. Ora devi prender moglie.” “Sposerò Trottolina.” Il Re montò sulle furie; prese la trottola e la sbatacchiò sul pavimento. La bambola schizzò da una parte e la trottolina, spaccata in due pezzi, dall’altra. “Ecco come sposerai Trottolina!”
Il Reuccio stette zitto e andò a chiudersi in camera sua. Non voleva più uscirne. Quand’era solo piangeva: “Ah, Trottolina mia! Non puoi dirmi più: Buon giorno, Reuccio! Buona sera Reuccio!” Si ammalò. Aveva una febbre lenta, dimagrava dimagrava; e i medici non sapevano dire che male fosse. Il Re e la Regina erano disperati: si vedevano morire lentamente il Reuccio sotto gli occhi, senza potergli dare nessuno aiuto. Uno dei medici domandò: “Ha avuto qualche grave dispiacere il Reuccio?” “No”. Il Re e la Regina non potevano mica immaginare che il Reuccio morisse di languore per Trottolina. Ma il dottore insistette: “Reuccio, vi hanno dato qualche gran dispiacere?” “Mi hanno rotto Trottolina.” Allora il Re mandò a chiamare il tornitore e il fabbro ferraio: “Fatemi pel Reuccio un’altra trottola parlante.” “Maestà non sappiamo più farla.” “O domani l’avrò qui, o guai a voi!” Quei due andarono via più morti che vivi. “Ah, poverini a noi! Chi sa se il Mago cene farà un’altra?” E corsero da lui. “Voi, tornitore, fate la trottola; voi, fabbro ferraio, appiccicatele il picciuolo di ferro ben limato e lisciato, e poi tornate da me.” Il Reuccio così riebbe la trottolina parlante e si mise a farla girare. La trottola girava e la bambola parlava: “Buongiorno, Reuccio! Buonasera, Reuccio!” Ed ora aggiungeva: “Quando ci sposeremo, Reuccio? Quando ci sposeremo?” Con meraviglia di tutti, trottola e bambola crescevano di giorno in giorno, quasi fossero vivi. Ma Trottolina parlava soltanto quando la trottola girava. Che potevano fare il Re e la Regina? Visto questo prodigio di Trottolina che cresceva, e purché il Reuccio non tornasse ad ammalarsi, acconsentirono che la sposasse. Tanto era un matrimonio per chiasso.
Pei primi giorni passò. Il Reuccio faceva girare la trottola e Trottolina parlava. La trottola girava per dei quarti d’ora, senza fermarsi; correva di qua e di là, e il Reuccio le correva dietro: “Fermati, Trottolina!” Trottolina si fermava, ma allora non parlava più. Girando girando, sembrava proprio viva. Fermata, era una bambola di legno e niente altro. Gli venne a noia. La buttò in un angolo della camera e non la cercò più. La notte, sentiva un lamento: “Ah, Reuccio, Reuccio, come m’hai abbandonata!” Saltava da letto, credendo che Trottolina fosse già diventata persona viva: andava a guardarla; niente. Trottolina era tuttora di legno e stava appoggiata contro il muro in quell’angolo dove l’aveva buttata. Ogni notte però quel lamento: “Ah, Reuccio, Reuccio, come m’hai abbandonata!” Il Reuccio non poteva più dormire. Ordinò che gliela levassero di camera e la portassero in cantina. Non valse. Tutte le notti, dalla cantina sentiva fino in camera sua quel lamentio. “Non vuoi chetarti? Aspetta: ti concio io!” Scese in cantina con un’accetta, per fare in pezzi trottola e Trottolina; ma alla vista di lei, che era così bella e graziosa, sentì intenerirsi il cuore. Era cresciuta tanto che pareva una bella ragazza di diciotto anni; e ora, per far girare la trottola ci voleva molta forza. Non si trattava più d’una trottolina, ma d’un trottolone, e invece d’un laccetto, occorreva proprio una fune. I genitori del Reuccio erano morti; il Re era lui. Mancava la Regina; e i Ministri gli dissero: “Maestà, il matrimonio con Trottolina non regge: sposate una donna vera.” Il Re si lasciò persuadere e risolvette di sposare la Reginotta di Spagna. Il giorno delle nozze, la Reginotta di Spagna si sentì male tutt’a un tratto e in poco d’ora morì. Il Re se n’accorò. La notte, il solito lamentìo: “Ah, Reuccio, Reuccio, come m’hai abbandonata!” “Non sono più Reuccio. Aspetta: ti concio io!” Scese in cantina, prese delle fascine, le messe torno torno alla trottola e a Trottolina e vi appiccò il fuoco. Una vampata; ma la trottola in fiamme cominciò a girare a girare, mettendo fuoco a ogni cosa. Saliva le scale, correva per tutte le stanze del palazzo reale e dove passava attaccava il fuoco. In un attimo il palazzo fu in fiamme. La trottola girava e Trottolina parlava: “Buongiorno, Maestà! Buonanotte, Maestà!” Il Re le correva dietro, tentando di spegnere le fiamme: “Fermati, Trottolina!” Ma si bruciacchiava le mani inutilmente: Trottolina non si fermava; e sembrava lo canzonasse col suo: “Buongiorno, Maestà! Buonanotte, Maestà!”
Attorno al palazzo c’era una gran folla, accorsa per spegnere l’incendio. Chi attingeva acqua, chi portava le secchie, chi le vuotava; fatica sprecata: più acqua buttavano e più le fiamme prendevano forza; salivano fino al cielo. Dal gran fumo non ci si vedeva. E tutti piangevano il Re che doveva essere carbonizzato a quell’ora, insieme coi Ministri e le persone di corte. Quando fu giorno, invece che si vide? Nel luogo del palazzo reale c’era un magnifico giardino, e più in là un altro palazzo reale, al cui confronto quello bruciato sarebbe parso una bicocca. E per i viali del giardino il Re e Trottolina, diventata persona viva, di carne e d’ossa, che presi per mano passeggiavano come se nulla fosse stato. Trottolina diceva scherzando al Re: “Buongiorno, Maestà! Buonanotte, Maestà!” Ma non girava più; non aveva più la trottola sotto i piedi. Ora che Trottolina non era di legno, il Re la sposò per davvero. E furono marito e moglie;
A loro il frutto, e a noi le foglie.