L’ebreo nel roveto – Grimm

Redazione A cura di “La Redazione” Pubblicato il 29/12/2016 Aggiornato il 12/09/2024

Questa fiaba dei fratelli Grimm, scritta agli inizi dell'Ottocento, insegna ai bambini che chi è buono di cuore alla fine riceve tanto in cambio. I grandi, invece, potranno notare come il pregiudizio antisemita già si faceva strada nella Germania di questo periodo

L’ebreo nel roveto – Grimm

L’ebreo nel roveto

C’era una volta un contadino ricco che aveva un servo onesto e diligente che al mattino era sempre il primo ad alzarsi e la sera l’ultimo a coricarsi. Quando c’era un lavoro duro a cui nessuno voleva dedicarsi, lui lo eseguiva e non si lamentava mai, era contento di tutto, sempre felice e allegro. Quando il suo periodo di lavoro fu terminato, il padrone non gli diede il suo compenso e pensò: “È la cosa più saggia, mi risparmio un po’ di denaro e lui non se ne va, ma se ne sta tranquillamente al mio servizio”. Il servo non disse nulla, fece il suo lavoro come aveva fatto il primo periodo di un anno e, alla fine del secondo, non ricevette nulla, se ne stette zitto e rimase ancora. Passò anche il terzo anno, il padrone esitava, poi si mise una mano in tasca ma non tirò fuori un bel niente. Finalmente il servo pensò che non intendeva lavorare per niente, andò dal padrone e disse: “Vi ho servito per tutto questo tempo con solerzia e lealtà, perciò confido in voi perché mi diate ciò che mi spetta di diritto”. Ma il contadino era un uomo molto avaro e sapeva che il servo era d’animo semplice; così prese tre centesimi e gliene diede uno per anno; questa era la sua paga. Il servo credeva di avere in mano un grosso capitale e pensò: “Perché vorresti ancora crucciarti; adesso puoi avere cura di te e andare in giro per il mondo a passartela bene”.

In giro per il mondo

Così mise il suo bel capitale in uno zaino e se ne andò allegramente per monti e valli. Una volta giunse in un campo saltando e cantando e gli apparve un ometto che gli domandò la causa della sua gioia. “Perché mai dovrei essere triste? Ho salute, denaro in abbondanza, non ho certo bisogno di preoccuparmi. Ho con me tutto ciò che ho guadagnato e risparmiato prestando servizio per tre anni”. “A quanto ammonta il tuo tesoro?”, chiese l’omino. “Tre bei centesimi”, rispose il servo. “Regalami i tuoi tre centesimi: sono un pover’uomo.” Il servo aveva buon cuore e provò compassione per l’omino, così gli diede i soldi. L’omino disse: “Dato che il tuo cuore è buono, ti concedo tre desideri, uno per centesimo: avrai quello che desideri”. Il servo ne fu soddisfatto e pensò che preferiva della roba al denaro; poi disse: “Per prima cosa desidero un archibugio che colpisca tutto quello che prendo di mira; in secondo luogo un violino, e quando suono tutti quelli che ascoltano devono ballare; e in terzo luogo, se domando qualcosa, che nessuno possa rifiutarla”. L’omino disse: “Avrai tutte queste cose!”. Gli diede violino e archibugio e poi se ne andò per la sua strada.

La danza nel roveto

Il servo, che già si riteneva fortunato prima, pensava ora di esserlo dieci volte di più. Poco dopo incontrò un vecchio ebreo che se ne stava ai piedi di un albero in cima al quale, sul ramo più alto, c’era una piccola allodola che cantava. “Bontà divina! – esclamò l’ebreo – cosa può mai fare una simile bestiola! Non so che darei per averla!” “Se è tutto qui – disse il servo -sarà facile farla cadere.” Prese la mira e centrò l’uccello che cadde dall’albero. “Andate a raccoglierlo” disse poi. Ma l’uccello era caduto in un roveto ai piedi dell’albero. Allora l’ebreo si fece strada nel roveto e, quando vi fu in mezzo, il servo tirò fuori il suo violino e si mise a suonare. Subito l’ebreo si mise a ballare senza posa e prese a saltare sempre più in fretta e sempre più in alto. Ma le spine gli laceravano le vesti, sicché qua e là gli pendevano i brandelli, lo graffiavano e lo ferivano da fargli sanguinare tutto il corpo. “Per l’amor di Dio”, gridò l’ebreo. “Smetta vossignoria con quel violino, che ho mai fatto di male?” Ma l’allegro servitore pensò: “Hai scorticato la gente a sufficienza: ora avrai altrettanto” e si mise a suonare un’altra danza. Allora l’ebreo si mise a pregarlo e gli promise del denaro se smetteva di suonare. Ma i soldi non bastavano mai al servo che continuò a suonare finché l’ebreo non gli promise cento bei fiorini che teneva nella borsa e che aveva appena estorti a un poveraccio. Quando il servo vide quel denaro, disse: “Così va bene”. Prese la borsa e ritirò il violino; poi continuò per la sua strada allegro e tranquillo.

La vendetta

L’ebreo uscì dal roveto mezzo nudo e malandato, si mise a pensare a come poteva vendicarsi e gridò al violinista quante ingiurie sapeva. Poi corse da un giudice e si lamentò dicendo di essere stato derubato del suo oro da un furfante che, per giunta, l’aveva ridotto da far pietà; colui portava un fucile sulla schiena e un violino a tracolla. Allora il giudice inviò messi e sbirri a cercarlo, ed egli fu ben presto rintracciato e condotto in giudizio. Allora l’ebreo l’accusò di avergli rubato il denaro, ma il servo disse: “Non è vero, il denaro me lo hai dato tu perché smettessi di suonare”. Ma il giudice andò per le spicce e condannò il servo alla forca. Questi era già salito sulla scala a pioli e aveva la corda al collo, quando disse: “Signor giudice, vogliate concedermi un’ultima preghiera!”. “Ti sia concessa – rispose il giudice – purché tu non chieda la grazia.” “No, non si tratta della grazia – rispose il servo. – Vi prego di lasciarmi suonare per l’ultima volta il mio violino.” Allora l’ebreo si mise a gridare: “Per l’amor di Dio, non permetteteglielo! Non permetteteglielo!”. Ma il giudice disse: “Gli spetta e così sia”. Del resto non poteva rifiutare, proprio per quel dono che era stato concesso al servo. L’ebreo gridò: “Ahimé, legatemi stretto!”. Il servo prese il violino e al primo colpo di archetto tutti si misero a dondolare e a traballare, giudice, scrivani e uscieri, e nessuno poté legare l’ebreo; al secondo colpo d’archetto, il boia lasciò andare il servo e si mise a ballare; quando si mise a suonare ballarono tutti insieme: il giudice e l’ebreo davanti a tutta la gente che si era radunata sul mercato per assistere. All’inizio era divertente, ma poi, siccome il violino e la danza non cessavano, presero a strillare miseramente e lo pregarono di smettere, ma lui continuò finché il giudice non gli concesse la grazia e gli promise di lasciargli anche i cento fiorini. Poi disse ancora all’ebreo: “Furfante, confessa da dove ti viene il denaro o continuo a suonare solo per te!”. “L’ho rubato, l’ho rubato! Tu invece l’hai guadagnato onestamente” gridò l’ebreo e tutti udirono. Allora il servo smise di suonare, mentre l’infame fu impiccato al suo posto.

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