Il Leone e il Moscerino
– O triste insetto, o fango della terra,
vai lontano – un Leone così diceva,
rivolto a un Moscherino, che rispondeva
per vendicarsi e per sfidarlo a guerra:
– Pensi tu che il tuo titolo di re della foresta
possa indurre paura in uno come me,
che traggo un bue più grosso anche di te
a fare come voglio io?
E detto questo, suona alla carica,
egli stesso eroe e trombettiere,
sopra il Leone piomba
e dapprima sul collo lo punge.
L’occhio scintillante, il Leone balza punto da quello spillo
e furibondo rugge e quasi impazzisce,
e le altre belve spaventate fuggono,
tutto per colpa d’un essere così piccolo.
Quell’embrione di mosca, come dico,
le narici, il muso e gli occhi a caso punge:
la rabbia monta del Leone al naso,
e ride l’invisibile nemico.
Ride il Moscerino, vedendo che la bestia impazzita
graffia, morde se stessa e l’aria spazza,
sbatte la coda, e si colpisce furiosamente
fino a dilaniarsi da solo.
La grossa bestia a tanta maledetta
battaglia cade, mordendo la sabbia.
L’insetto, sfogata la sua rabbia,
come suonò la carica, annuncia
la vittoria per tutta la campagna.
Ma volle il suo destino
che cadesse in una ragnatela,
e vi lasciò la pelle il Moscherino.
Due cose sembra a me
che possa questa favola insegnare:
prima che il più terribile non è
il più grosso nemico, come pare.
E poi che si può vedere
che molti, che si salvano dal mare,
affogano tante volte in un bicchiere.