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Per tutte le mamme del mondo non c’è momento più bello della nascita del proprio cucciolo.
Potrete quindi capire l’emozione di mamma anatra quando, dopo una lunga covata, vide schiudersi le sue 10 uova. Eh sì, proprio così, 10 uova per 10 anatroccoli. Tutti morbidi, pigolanti e tenerissimi. Sembravano dei batuffoli di cotone giallo. Tutti? Non proprio tutti a dire il vero. Uno di loro era grigio e un po’ spelacchiato. La mamma gli voleva bene come agli altri ma i suoi fratelli non perdevano occasione per prenderlo in giro. Gli altri animali della fattoria poi erano ancora più spietati: gli facevano notare di continuo la sua diversità e ridevano a crepapelle ogni volta che passava. “È vero sono diverso – rispondeva lui piccato – è allora? Che noia essere tutti uguali e poi siete proprio sicuri di essere belli voi?” diceva all’asino e al maiale. In realtà il povero anatroccolo, che tutti avevano soprannominato brutto anatroccolo, soffriva molto e piangeva amare lacrime ogni volta che rimaneva da solo. Nessuno infatti voleva giocare con lui. Sua mamma cercava di consolarlo, ma non c’era niente da fare.
Un giorno il brutto anatroccolo decise di andarsene e lasciò la fattoria.
“Voglio trovare una famiglia che mi voglia bene davvero per quello che sono” pensò e si mise a cercare nel bosco e in città fino a quando non trovò una vecchina sola in cerca di compagnia. “Come sei gentile e pieno di storie interessanti da raccontare – gli disse dopo aver passato un pomeriggio con lui – perché non vieni a stare da me per un po’?”. Il brutto anatroccolo era molto spiritoso e simpatico e quando era in vena faceva ridere tutti quelli che lo stavano ad ascoltare. Peccato che insieme alla vecchina vivevano già un cane e un gatto non proprio amichevoli. Appena lo videro sistemarsi nella loro casa, iniziarono a fargliene di tutti i colori. Il brutto anatroccolo per un po’ li sopportò, voleva bene alla padrona di casa e tra di loro era nata una bella amicizia, ma quando gli strapparono il fiocchetto che portava al collo, unico ricordo di mamma anatra, decise che era troppo. Salutò tutti e se ne andò, nonostante la vecchina lo avesse più volte supplicato. “I tuoi amici sono gelosi e crudeli – disse – e io ho tanto bisogno di stare in pace”.
Pace? E dove poterla trovare un po’ di pace dopo tante angherie?
Vicino allo stagno turchese pensò. Era il posto dove si rifugiava quando i suoi fratelli e gli animali della fattoria lo prendevano in giro.
Lì c’era sempre qualcosa da mangiare e tante foglie dove potersi accoccolare. “Mi farà bene starmene un po’ da solo” pensò. Passò l’inverno e arrivò la primavera. Il brutto anatroccolo stava diventando sempre più taciturno e triste fino a quando non si avvicinò allo stagno e vide l’immagine riflessa di un bellissimo cigno. “Chi sarà mai?” disse e intanto pensò a come gli sarebbe piaciuto essere bello come il cigno. Di cigni però non ne vide nessuno.
Accanto a lui, saltellava un passerotto e da un ramo osservava la scena un merlo che così gli parlò: “Mio caro anatroccolo, sei talmente abituato a sentirti brutto che non ti sei accorto di quanto sei diventato bello. Non c’è nessun cigno sulla riva a parte te. L’immagine che vedi riflessa nel lago è la tua. Nella fattoria in cui sei nato deve essere arrivato – chissà come – l’uovo di cigno depositato dalla tua mamma. Ora hai scoperto che la tua diversità ti rende particolarmente bello, gentile e aggraziato. Ho voluto farti un regalo: ho cercato per mesi la tua vera mamma e finalmente l’ho trovata. Raggiungila in mezzo allo stagno: ti sta aspettando”.
Il brutto anatroccolo, che ora chiameremo il bel cigno, si sentì prendere da un’immensa gioia che mai aveva provato.
Raggiunse la sua mamma e le mise la testa sotto l’ala: finalmente, dopo tanta sofferenza e solitudine, erano entrambi felici.