L’aggressività e le differenti modalità tramite cui si manifesta (picchiare, scalciare e urlare) rappresentano per il bambino piccolo un fondamentale mezzo comunicativo che gli consente di esternare le proprie pulsioni. Ciò vale soprattutto fino all’età di 2-3 anni, età in cui, grazie all’acquisizione di una certa dimestichezza col linguaggio verbale, potrà disporre di un altro modo per esprimere la sua rabbia. Da questa fase in avanti, il livello di aggressività nel bambino tende di fatto a ridursi anche se, almeno fino ai 4-5 anni, essa rimarrà una componente significativa del suo comportamento. Ecco come gestire un bambino aggressivo.
Fondamentale è osservare con attenzione l’evolversi di questo atteggiamento nel proprio figlio: in alcuni casi, infatti, esso tende a diventare la caratteristica principale del suo modo di esprimersi e interagire con l’ambiente circostante. E se bloccare sul nascere ogni manifestazione di questa pulsione rischia di frustrare eccessivamente il bambino, impedendogli di scaricare il surplus di energia interiore, anche assumere un atteggiamento indifferente o permissivo è sconsigliato.
Già a cominciare dai 2-3 anni, gli adulti di riferimento dovrebbero quindi rendere ben chiara la propria disapprovazione verso questo genere di comportamenti, reagendo con fermezza soprattutto nelle occasioni in cui l’aggressività del figlio si rivolge verso altri bambini.
L’avvio della scuola materna tende spesso ad aumentare le occasioni in cui si manifestano atteggiamenti aggressivi: i dispetti dei compagni, le aggressioni fisiche e/o verbali, la necessità di dover condividere giochi e spazi con i coetanei, in assenza del controllo continuo ed esclusivo di un adulto di riferimento, stimolano spesso scontri in cui “venire alle mani” rappresenta la modalità più frequente cui ricorrere per attaccare o difendersi.
Per questa ragione si tratta di una fase delicata e complessa, in cui è essenziale cercare di osservare in modo obiettivo il comportamento del bambino e di comprendere le dinamiche che lo determinano.
Per mamma e papà, in particolare, è molto importante sforzarsi di tenere conto delle segnalazioni fornite dagli educatori, evitando di assumere a priori un atteggiamento di giustificazione-difesa nei confronti del proprio figlio: ciò non farebbe che legittimare ai suoi occhi questo genere di atteggiamenti.
L’atteggiamento che i genitori dovrebbero adottare cambia col passare dell’età.
Fino a 2-3 anni
Più che le parole e i lunghi discorsi, in questa fase contano i fatti e, in presenza di uno scontro fisico, attivato per lo più dalla contesa di un gioco, è consigliabile allontanare fisicamente il bimbo dalla situazione di tensione, togliergli dalle mani l’oggetto “della discordia” e, se non gli appartiene, restituirlo al legittimo proprietario. Sperimentare queste prime, piccole frustrazioni è molto importante per avviare il superamento dall’egocentrismo tipico della prima infanzia.
Dai 3-4 anni
La componente educativa diventa prioritaria ed è fondamentale:
- spiegare chiaramente che il ricorso alla violenza fisica è sbagliato;
- abituarlo al rispetto delle esigenze degli altri, soprattutto attraverso il modello offerto col proprio comportamento;
- stimolarlo a esprimere la propria rabbia a parole facendogli capire che è del tutto naturale provare dei sentimenti “negativi”;
- offrire al piccolo occasioni di sfogo (scatola della rabbia link)attraverso il potere liberatorio del gioco o dello sport.
Fonti / Bibliografia
- Scuola dell'infanzia - MiurScuola dell'infanzia