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Tra autismo e selettività alimentare c’è un legame e il problema rischia di peggiorare ulteriormente la vita del bimbo autistico e dei suoi familiari. La selettività alimentare è problema troppo spesso sottovalutato, eppure è un disturbo che può condizionare pesantemente la vita di un bambino, specie se già affetto da autismo, e della sua famiglia. E spesso i due problemi si sommano.
Conseguenze sull’alimentazione
L’autismo colpisce quattro bambini su mille. I disturbi dello spettro autistico (Asd) sono caratterizzati da un funzionamento mentale atipico che perdura per tutta la vita, da deficit di comunicazione verbale e non e da schemi di comportamento e di interessi ripetitivi e stereotipati, uno dei quali riguarda appunto il cibo: la selettività alimentare, caratterizzata da una forte rigidità nelle scelte alimentari, ossia l’assunzione di un numero limitato di alimenti, spesso meno di cinque cibi, accompagnata da una scarsa accettazione di cibi nuovi.
Riguarda il 30% dei bambini
La selettività alimentare è presente in molti bambini (circa il 30%), ma è diffusa in particolar modo tra quelli colpiti da autismo (uno su due), dove si combina con altre caratteristiche tipiche della malattia: la ritualità, la ripetitività e l’ipersensibilità. Questi bambini rifiutano regolarmente una grande quantità di cibi, sulla base di un numero elevato di motivi: dalla consistenza al tatto e alla masticazione, dal modo in cui il cibo deve essere disposto nel piatto, all’aspetto in base al colore e alla forma, ma anche dalla marca e dalla confezione.
Il parere degli esperti
I ricercatori di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma confermano che il problema della selettività alimentare è specificamente legato alle anomalie sensoriali dell’autismo, anche se non vi sarebbero differenze cliniche rilevanti tra i bambini autistici con selettività alimentare e gli autistici senza questo problema. Questo disturbo aggiuntivo, però, va a incidere pesantemente sulla qualità della vita dei genitori: lo stress che questo comportamento provoca in chi si prende cura del bambino è tale da incidere anche sulla percezione della gravità del disturbo del proprio figlio.