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Ancora oggi si associa a sentimenti di imbarazzo e vergogna. Eppure, ormai è stato dimostrato senza più alcuna ombra di dubbio che la dislessia è un vero e proprio disturbo, che nulla ha a che fare con la svogliatezza o scarsa capacità di applicazione del bambino. La conferma arriva da un recente studio secondo cui alla base di tutto ci sarebbe un deficit di elaborazione lessicale.
Di che cosa si tratta
La dislessia, che appartiene ai disturbi dell’apprendimento, consiste in una difficoltà di lettura. In pratica, il bambino dislessico non riesce a distinguere e a mettere nell’ordine esatto le sillabe o le lettere che compongono una parola. Di conseguenza, si stanca rapidamente, commette errori, prova sempre maggiore ansia e senso di inadeguatezza, rimane indietro, fatica a imparare. Secondo alcuni, alla base di tutto ci sono piccole alterazioni dell’apparato neurobiologico, che rendono difficile imparare a leggere e scrivere nei tempi medi. Stando a questa teoria i bambini dislessici avrebbero un problema di percezione che rende difficoltosa l’organizzazione spazio- temporale di eventi, concetti e anche sequenze di lettere o numeri. Altri studi, invece, suggeriscono che i bambini dislessici sono molto sensibili e soffrono di ansia di prestazione, a tal punto da non riuscire a utilizzare in modo ottimale le loro capacità.
Uno studio italiano ad hoc
Lo studio che suggerisce una nuova ipotesi sull’origine della dislessia è stato condotto da un team di ricercatori italiani, dell’Irccs Medea e del Servizio di Neurochirurgia di Udine, in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, e pubblicato sulla rivista Cortex. Gli autori hanno cercato di esaminare validità ed efficacia del cosiddetto “modello di lettura e scrittura a due vie”. Secondo questo modello, bambini e adulti possono leggere e scrivere utilizzando due vie alternative elaborate da parti diverse del cervello: la via lessicale (o ventrale), che consente di capire direttamente il significato delle parole, e la via fonologica (o dorsale), che permette di convertire i grafemi (unità grafiche elementari) in fonemi (la più piccola unità linguistica) o viceversa. Per testare questo modello, gli studiosi hanno effettuato diversi esami, fra cui una risonanza magnetica cerebrale, su un gruppo di persone sane e su un paziente con una lesione localizzata nel lobo temporale che aveva grandi difficoltà a leggere e scrivere, specialmente le parole irregolari e le doppie.
Più informazioni sul linguaggio scritto
Dall’analisi dei risultati è emerso che il paziente presentava una dissociazione tra la via lessicale e la via fonologica. In particolare, aveva una via di elaborazione lessicale danneggiata e una minor attivazione della via lessico-semantica ventrale rispetto ai soggetti di controllo, mentre la via di elaborazione fonologica era tutto sommato preservata. Gli esperti hanno concluso la dislessia potrebbe dipendere da difficoltà nell’elaborazione delle parole irregolari o contenenti le doppie. “I nostri risultati enfatizzano l’importanza del fascicolo fronto-occipitale inferiore in lettura e scrittura e offrono una comprensione migliore dei substrati neurologici e funzionali coinvolti nel linguaggio scritto e, in particolare, nell’elaborazione di suoni e lettere che contengono le doppie” hanno commentato.