Non vuole mangiare alla scuola materna
Rifiuta ostinatamente tutti i piatti che gli vengono preparati alla mensa della scuola, anche la pasta che in genere è molto amata: il problema del bambino che si ostina a non mangiare a scuola è molto diffuso e può dipendere da vari fattori. È bene cercare di scoprire il motivo di questo atteggiamento, per cercare di porvi rimedio. Il pasto di mezzogiorno rappresenta, infatti, una ricarica energetica importante per affrontare bene il resto della giornata. Non solo: mangiare assieme ad altre persone della stessa età ha un forte valore educativo e di socializzazione. Ecco quali sono i motivi principali per cui un bambino di questa età può rifiutarsi di mangiare alla scuola materna.
- Avverte l’incertezza di genitori sul menù: i menù scolastici sono studiati da esperti della nutrizione e sono corretti ed equilibrati. I pasti sono ben bilanciati e comprendono tutti i nutrienti fondamentali per la crescita del piccolo. Nonostante questo, spesso i genitori sono “ipercritici” sui menù preparati in mensa e, anche se non ne parlano apertamente con il bambino, a volte commentano a casa l’inadeguatezza dei pranzi. Non c’è da stupirsi, quindi, se il bambino, accorgendosi che la mamma o il papà criticano il cibo della scuola, sia portato a comportarsi allo stesso modo e a rifiutarlo.
- Ha altre abitudini: se un bambino a casa propria mangia in modo piuttosto saporito, magari molto condito, oppure ha diverse consuetudini alimentari perché la sua famiglia è di origine straniera, tenderà a rifiutare il cibo che gli viene proposto a scuola perché troppo diverso dal suo tradizionale modo di alimentarsi. Per aiutarlo ad accettare il menù scolastico, si può provare, per un certo periodo, ad adeguare il proprio modo di cucinare a quello della scuola, eventualmente parlando con le educatrici.
- Non ha la cultura del “pasto a tavola”: troppi bambini oggi sono abituati a mangiare dove capita, cioè non a tavola, ma per esempio davanti alla televisione o nella propria cameretta. Ciò spesso avviene perché i genitori assecondano un bambino inappetente permettendogli di stare dove preferisce purché mangi qualcosa. La colpa è anche dei moderni ritmi di vita, che tendono a eliminare sempre di più la consuetudine del pasto a tavola con tutta la famiglia. Per il bimbo, quindi, l’idea di dover stare seduto in un posto fisso per mangiare non sempre appare gradita.
- Sa che mangerà una volta tornato a casa: il discorso vale per i bambini che tornano a casa subito dopo pranzo. Se sanno che, una volta tornati a casa, c’è un goloso minipasto ad attenderli (per esempio, un panino al prosciutto, un bel pezzo di focaccia o una fetta di torta) inconsciamente lasciano da parte la pasta e la carne della scuola, sicuri che si sazieranno a casa con qualcosa di più gradito. Sarebbe opportuno, quindi, eliminare questa abitudine.
Vuole solo determinati cibi
Ogni individuo ha i suoi gusti fin dalla più tenera età: anche i bambini, come gli adulti, possono preferire la carne al pesce, o la pasta al riso. Quindi, sarebbe assurdo pretendere che un piccolo di quattro anni mangi di tutto. Il problema è quando un bambino mangia solo certi alimenti, rifiutando ostinatamente di assaggiarne altri. Questo può dipendere prima di tutto da una educazione scorretta: se il piccolo è stato abituato a mangiare solo primi piatti, o solo hamburger, o solo purée di patate, difficilmente apprezzerà la semplice fettina, il minestrone di riso e le verdure al vapore. In secondo luogo, i bambini non sempre amano le novità: un piatto nuovo rappresenta per loro l’ignoto, che può nascondere qualcosa di pericoloso (anche solo un sapore sgradevole).
Consigli pratici
- Forzare il bambino non serve, ma non è utile nemmeno dargli corda dedicandogli un menu personalizzato.
- È opportuno invece preparare i piatti nuovi per tutta la famiglia e farli comparire regolarmente in tavola, in modo che il bambino impari a riconoscerli come familiari e quindi ad accettarli.
Dice le parolacce
I genitori non riescono a credere alle proprie orecchie, eppure è così: il piccolo di casa ha appena pronunciato una parolaccia. Inutile chiedersi come ciò sia possibile o da chi le abbia imparate, accusandosi a vicenda: in genere, i bambini sentono queste parole dagli adulti che, senza rendersene conto, quando dicono una parolaccia utilizzano un timbro di voce particolare, che il bambino percepisce e gli fa “registrare” la parola con un alone d’enfasi particolare. Poi, al momento del contatto con i coetanei, i bambini usano, per esempio in occasione di un piccolo litigio, quella parola che hanno sentito pronunciare dagli adulti e così il loro “patrimonio linguistico” si arricchisce dal confronto con gli altri amichetti. Difficilmente, però, a questa età i bambini conoscono il significato delle parole che ripetono e, quando ripetono a casa termini sentiti da altri bambini, lo fanno solo per spirito di emulazione. Solo successivamente, di fronte alla reazione di mamma e papà, essi scoprono il “potere” della parola che hanno detto. Inoltre, dal confronto con i coetanei, i bambini intuiscono anche la funzione offensiva dell’insulto e di come quella parola possa far male alla persona cui è rivolta.
Consigli pratici
- Modulare le proprie reazioni, perché sono proprio queste a dare il peso alla parolaccia: se mamma e papà hanno una reazione troppo marcata, il piccolo intuirà il peso trasgressivo di tali termini; al contrario, se si mostrano assolutamente indifferenti, il bambino si sentirà libero di ricorrervi abitualmente.
- Dirgli molto chiaramente che non si accetta il suo comportamento e spiegargli quanto le parolacce siano un segno di debolezza, per esempio sottolineando come alcune persone le usino solamente perché non hanno altro modo per distinguersi.
- Fargli capire come le parolacce possano ferire le persone a cui sono dirette, magari facendolo riflettere dicendogli: “che cosa proveresti se dicessero questa parola a te? Saresti contento?”. In questo caso, è necessario ovviamente spiegare al bimbo, con parole semplici, che cosa significhi tale parola.
- Essere coerenti: non si può pretendere che il bimbo non ricorra alle parolacce se mamma e papà a loro volta le utilizzano abitualmente.
Dice le bugie
Piccole, divertenti, paradossali o fantasiose: più o meno innocenti e significative, le bugie sono comunque compagne di vita fondamentali durante l’infanzia. Il significato di una bugia cambia sicuramente a seconda dell’età del bambino e, almeno fino ai cinque-sei anni di vita , è soprattutto frutto della troppa fantasia oppure viene detta per guadagnare attenzioni da parte dei genitori, per ricevere un elogio o,ancora, farsi bello agli occhi degli altri, specialmente dei coetanei. Certe volte, inoltre, la bugia è legata alla confusione del bambino nel distinguere la realtà oggettiva da quella che si è costruito nella propria fantasia.
Consigli pratici
- Dare il buon esempio, non dicendo a propria volta bugie: il senso di giustizia del bambino, infatti, si fonda molto sulla reciprocità e il problema nasce quando si accorge che i genitori gli stanno mentendo. Il bambino, in questo caso, si sente tradito e ogni prescrizione perde il proprio valore: i genitori, quindi, devono sempre tenere presente che una regola imposta senza il sostegno del buon esempio vale a poco. Sarebbe meglio evitare del tutto di dire le bugie, ma se capita di essere colti in flagrante, è meglio scusarsi con il bambino per l’errore commesso.
- Non preoccuparsi di fronte a una bugia che nasce dalla fantasia eccessiva del piccolo: occorre accettare che fa parte della sua realtà, stando quindi al gioco (sempre che le bugie, naturalmente, non diventino un comportamento ricorrente: in questo caso, infatti, è bene fargli capire che lo si è “scoperto”). Per esempio, se il bambino racconta una storia impossibile che gli è accaduta durante la notte, non ha senso punirlo, meglio piuttosto giocare con lui e chiedergli dettagli e particolari ulteriori, cercando magari, nei limiti del possibile, di fargli capire che la realtà che vede lui è diversa da quella reale.
Inizia a distinguere il giusto e lo sbagliato
A quest’età il bambino sta cominciando a discriminare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e lo fa attraverso gli esempi delle favole e, soprattutto, quello dei genitori. È proprio dall’imitazione di mamma e papà, infatti, che inizia a comprendere che cosa sia lecito fare e che cosa no. Questo non significa che non metta comunque in atto alcuni comportamenti che sa essere sbagliati, ma a differenza di quando era più piccolo ora comincia a sentirsi in colpa quando questo succede.
Consigli pratici
- Non perdere occasione per indicare al bambino quali siano i comportamenti scorretti e quali quelli corretti. In occasione di questi ultimi, è importante sottolinearli con apprezzamenti, perché il bambino si senta stimato e gratificato da mamma e papà. Al contrario, in occasione di un comportamento “scorretto” restano utili i rimproveri, espressi con decisione e fermezza, perché alleggeriscono il peso del senso di colpa del bimbo; tuttavia, per stimolare il senso morale del bambino, non bisogna usare solo i metodi punitivi, anzi, è meglio ricorrervi il meno possibile e piuttosto incoraggiarlo in senso positivo.
- Motivare sempre ogni regola, in modo che il piccolo possa interiorizzarne il valore. Inoltre, poiché è molto importante l’esempio dei genitori, è fondamentale che essi siano per primi coerenti con le regole imposte