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È ormai da diversi anni che gli esperti sostengono che imparare le lingue da piccoli sia più facile. Ma fino a ora non erano state individuate soglie di tempo precise. Un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori britannici e americani, del King’s College di Londra e della Brown University a Rhode Island, pubblicato sul Journal of Neuroscience, aiuta a fare chiarezza.
Da adulti diventa più difficile
Da piccoli il processo di apprendimento del linguaggio è gestito, in particolare, dalla cosiddetta “memoria procedurale”: la stessa che si attiva quando si imparano gesti più meccanici, come l’andare in bicicletta o il giocare a pallone. Si tratta cioè di un processo automatico, che non richiede sforzi, così come avviene per la lingua madre: non serve studiare i verbi o le parole, tutto si impara senza difficoltà. Da adulti, invece, le cose cambiano. Infatti, il cervello è costretto a lavorare di più per apprendere le lingue, chiamando in causa anche altre aree, come quelle del lobo frontale, dalle quali dipendono funzioni complesse come l’attenzione.
Sottoposti a risonanza magnetica
Lo studio ha riguardato 108 bambini di massimo sei anni. Gli autori li hanno sottoposti a una risonanza magnetica del cervello. Hanno così scoperto che dopo i quattro anni i nervi cerebrali hanno una disposizione consolidata e stabile, più fissa. Gli studiosi hanno dedotto che le aree del linguaggio sono particolarmente flessibili e plasmabili fino ai quattro anni. Esiste quindi un momento “magico” in cui il cervello è in condizioni ottimali per imparare le lingue. Superata questa soglia è sempre possibile apprendere molto bene una seconda lingua, magari anche diventando bilingui, ma con uno sforzo e una applicazione ben diversi, che aumentano con il crescere dell’età. Questo studio suggerisce che anche per quanto riguarda i problemi del linguaggio c’è una finestra critica: è utile, quindi, intervenire prima dei quattro anni.