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Secondo una ricerca effettuata su un campione di ragazzi tra i 13 e i 18 anni provenienti da 4 città italiane (Bologna, Perugia, Bari e Messina), 150mila adolescenti italiani effettuano intenzionalmente atti di autolesionismo, per manifestare un disagio interiore che non riescono a verbalizzare. Fortunatamente, in circa 8 casi su 10, si tratta di piccoli taglietti senza conseguenze per la salute. Ma nel restante 21% dei casi, i ragazzi arrivano a infliggersi vere e proprie mutilazioni corporee.
Un fenomeno in preoccupante crescita
L’autolesionismo (letteralmente “danneggiare se stessi”) è un atto che implica il procurare, consciamente o meno, danni rivolti alla propria persona, sia in senso fisico che psicologico. L’atto più comune è il taglio superficiale alla pelle, ma l’autolesionismo può manifestarsi con altri gesti: bruciarsi, infliggersi graffi (cutting), colpire una o più parti del corpo, strapparsi i capelli, ingerire sostanze tossiche o oggetti pericolosi. Un fenomeno che complessivamente colpisce circa lo 0,25% della popolazione, ma arriva al 5% tra gli adolescenti. I motivi vanno ricercati spesso in un’infanzia difficile, fatta di rigide imposizioni di regole e punizioni corporali. Per adattarsi al dolore fisico e psicologico delle botte ricevute, gli adolescenti, sostengono gli esperti, hanno trasformato questi gesti di violenza in atti di piacere.
Anche in provincia
Il “cutting” si sta diffondendo anche nelle città di provincia. È allarme, per esempio, a Lodi dove ogni settimana una o due persone di presentano all’Unità di Neuropsichiatria infantile dell’azienda ospedaliera. E anche gli studi privati sono presi d’assalto. Anche qui i ragazzi si fanno tagli con lamette, temperini, punte di compassi. Lo fanno pensando che la sofferenza fisica possa alleviare quella mentale…. E poi postano le foto su Facebook.