Argomenti trattati
L’aspetto fisico e la visione che abbiamo di noi stessi è molto personale e a volte non fedele al vero. Infatti, malattie come l’anoressia, la bulimia e in generale tutti disturbi del comportamento alimentare, sono in crescita anche tra giovanissimi, perché la tendenza è quella di volere essere perfetti come i modelli mediatici.
Numeri in crescita
L’anoressia conta ogni anno 8-9 nuovi casi ogni 100mila persone e nel 10-20% accompagna chi ne è colpito per tutta la vita. L’aspetto psicopatologico centrale, è il cosiddetto disturbo dell’immagine corporea. E il comportamento alimentare alterato altro non è che un correttivo di tale immagine di sé. La rappresentazione che del proprio corpo hanno queste persone è molto precisa, ma poco fedele al vero. Si vedono grassi, anche se sono magri, tanto che distinguono due stimoli tattili, ma li stimano più distanti del vero, come se avessero superfici corporee più estese. Queste sono tutte scoperte recenti che si stanno progressivamente evolvendo in nuove tecniche terapeutiche, che sfruttano questi meccanismi percettivi, cognitivi ed emotivi alla base del disturbo.
Le ricerche sulla realtà virtuale
Con la realtà virtuale immersiva che crea “l’illusione di incorporamento”, ovvero il cosiddetto embodiment, che regala la percezione di possedere un corpo diverso perché consente di immedesimarsi in un corpo visto davanti a sé, si possono sperimentare nuovi percorsi di cura per guarire dall’anoressia nervosa. Lo ha fatto un team di ricercatori coordinato da Ilaria Bufalari dell’Università La Sapienza di Roma e della Fondazione Santa Lucia IRCCS, che ha indagato l’origine della distorsione dell’immagine corporea in questi pazienti.
Lo studio, apparso sul Journal of Clinical Medicine e finanziato da un bando Giovani ricercatori del Ministero della Salute ha mostrato che nell’incorporare virtualmente l’immagine “ingrassata”, le pazienti affette da anoressia mostravano un vissuto di marcato disagio. Lo studio è stato condotto su donne affette dal disturbo e non; per la ricerca sono stati ricreati tre avatar tridimensionali: uno che riproduceva fedelmente la forma e le dimensioni del corpo della persona, uno che ne rappresentava una “versione dimagrita” e uno una “versione ingrassata”. Le donne sono state invitate a indossare caschetti per la realtà virtuale attraverso i quali immedesimarsi nei rispettivi avatar. Con la tecnica dell’embodiment è stata poi indotta l’illusione di percepire il corpo di ciascuno dei tre avatar: le partecipanti osservavano un tocco sull’avatar mentre lo stesso tocco veniva effettuato sulla corrispondente porzione del loro corpo reale.
I risultati dello studio
«I risultati mettono innanzitutto in luce l’importanza di focalizzare l’attenzione sugli aspetti cognitivi ed emotivi del disturbo di rappresentazione corporea – ha spiegato Ilaria Bufalari – ma il salto possibile è quello verso l’utilizzo di questo strumento nei futuri approcci terapeutici e di ricerca: abituando le pazienti a un’immagine del corpo sana, rappresentata attraverso la realtà virtuale in un setting completamente controllato, è pensabile favorire l’interiorizzazione di un corpo normopeso e la riduzione dello stress emotivo legato all’aumento ponderale. Passaggi fondamentali nel processo terapeutico di guarigione dalla patologia».