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Non hanno nemmeno 19 anni e sono già dipendenti dall’alcol. E sono circa un migliaio di italiani che “per arrivare a meno di 20 anni già alcol-dipendenti hanno alle spalle almeno 10 anni di abuso di drink. Ciò significa che hanno iniziato verso i 9 anni. In Italia il consumo di alcol tra i giovani è sempre più precoce. E lo dimostra anche il fatto che il 13% dei casi di intossicazioni da alcol che giungono negli ospedali italiani riguarda ragazzini al di sotto dei 14 anni” dichiara Emanuele Scafato, responsabile dell’Osservatorio nazionale alcol Cnesps dell’Istituto superiore di sanità.
Spesso i primi “assaggi” avvengono in famiglia
Per Scafato la situazione in Italia per quanto riguarda il consumo di alcol tra i giovani è comunque migliorata grazie al decreto Balduzzi che ha innalzato a 18 anni il divieto di vendita di bevande alcoliche. Il problema rimane la cultura vigente nel nostro Paese: “L’idea che far assaggiare al bambino l’alcol in famiglia, in modo che poi da grande lo eviti – sottolinea Scafato – è completamente sbagliata: la cosiddetta alcolizzazione precoce non ha alcun fondamento scientifico. E purtroppo non esisterà mai nessuna legge che impedirà ai genitori di dare alcol ai propri figli. L’organismo di un minorenne poi non è in grado di metabolizzare l’alcol come quello degli adulti e bastano uno o due bicchieri per ubriacarsi”.
Limitare la pubblicità
Colpevoli di questo consumo precoce di alcol tra i giovani, soprattutto minorenni, sono anche la compagnia, il costo dell’alcol, che è sempre più economico, e le pubblicità che presentano i drink come veri e propri passaporti per il successo personale, sociale, sessuale e persino come qualcosa che fa migliorare la propria salute. Per i ragazzi l’alcol è qualcosa che rende disinibiti e liberi. “Sarebbe necessario porre un limite al volume e alle ore di pubblicità sugli alcolici che oggi sono consentiti. In Italia si spendono oggi 300 milioni di euro l’anno per questo tipo di promozione, contro i 170 milioni di tre anni fa. Certo, l’industria deve promuovere i propri prodotti, ma con norme restrittive per non sforare in messaggi fuorvianti. Questo in Italia viene regolarmente infranto e segnalato, ma non cambia nulla” conclude Scafato.