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Dice sempre no
Nessuna sorpresa se, intorno a questa età, il bambino comincia a dare quasi come unica risposta un secco “no”. In questa tappa della crescita, nota infatti come la “fase del no”, il bambino tende ad assumere un atteggiamento oppositivo nei confronti dei genitori. Si tratta di una fase del tutto normale, anzi di un passaggio “obbligato”, perché rappresenta uno dei gradini verso la conquista della propria indipendenza da parte del piccolo. Con i suoi continui “no”, infatti, il bimbo cerca di distaccarsi sempre più dalla mamma, con cui ha finora vissuto in un rapporto quasi simbiotico. In questa fase il piccolo comincia a prendere consapevolezza della propria identità e inizia a opporre la propria volontà a quella dei genitori e a rendersi conto di essere dotato anche di una propria personalità: la sorpresa di questa rivelazione spinge poi il bambino a esasperare l’uso di questa parola “magica”. A volte per i genitori è difficile persino capire se si tratti di rifiuti intenzionali o automatici, cioè se voglia davvero dire no o se, invece, stia solamente provando fin dove arriva il suo “potere”. In fondo, rispondere “no” gli serve soprattutto per verificare quali siano i limiti della sua libertà d’azione.
Che cosa fare
- Non bisogna accettare tutti i rifiuti del piccolo: avere dei limiti lo aiuta a orientarsi e gli infonde sicurezza.
- Non ripetere troppi no: anche questa parola si impara per imitazione; di conseguenza, l’esempio dei genitori è fondamentale anche in questo contesto.
- Evitare di prendere di petto ogni rifiuto del piccolo, perché la tendenza del bimbo a opporsi si radicherà in un comportamento ancor più rigido e conflittuale. Bisogna reagire con calma, senza arrivare ad arrabbiarsi.
- Cercare di arginare le inevitabili scenate del bimbo, ricorrendo a una semplice pratica, ossia quella di stringere il piccolo tra le proprie braccia per tranquillizzarlo.
Si offende ai rimproveri
Il bambino si sente onnipotente e padrone del mondo, ma le prime esperienze talvolta gli mandano segnali diversi: insieme alle scoperte, infatti, deve fare i conti anche con i propri errori, con gli sbagli, con i divieti e i rimproveri dei genitori. Difficile, dunque, per chi si sente il “re del mondo”, accettare queste prime sconfitte. Insomma, il piccolo, anche se comincia a capire i divieti dei genitori e che cosa può o non può fare, prova lo stesso a fare di testa propria, per seguire i suoi desideri, perché in fondo si crede il “re”. Ovviamente questi suoi tentativi di fare come vuole finiscono per scontrarsi con i rimproveri e le punizioni di mamma e papà. Il bambino si trova così a toccare con mano che il suo “potere” è limitato, ha dei confini e viene ferito nell’orgoglio, sentendosi umiliato.
Che cosa fare
Rimproverarlo in modo adeguato: i richiami di mamma e papà devono essere finalizzati a ridimensionare il senso di onnipotenza del bambino, ma non devono essere umilianti: da rimproverare sono le azioni sbagliate del piccolo, non la sua persona (per esempio, non bisogna dirgli “sei cattivo”), altrimenti il bimbo perderà la fiducia in se stesso e l’autostima.
Morde i coetanei
È arrivato a casa un amichetto e, un attimo dopo, si sente il piccolo ospite piangere perché è stato morso. Quella di mordere è una tappa dello sviluppo del bambino e rappresenta una forma di comunicazione. Per il bambino, infatti, la bocca, con la quale morde, è il primo canale di conoscenza (quando è più piccolo la prima forma di esplorazione passa attraverso il mettersi in bocca tutto). Non a caso raggiunge il suo culmine tra il primo e il secondo anno e tende a esaurirsi quando il bambino impara a esprimere a parole le proprie emozioni. Il morso può diventare anche un modo per comunicare la sua aggressività. Un episodio frequente è quello in cui il bimbo morde il fratellino appena nato: lo vede causa della minore attenzione della mamma e allora glielo fa sapere con il morso. Il bambino, però, non è ancora consapevole del dolore che il morso provoca agli altri.
Che cosa fare
Fermarlo nell’azione, ma senza colpevolizzarlo: il bambino sta imparando a modulare la sua aggressività, ha bisogno di sperimentarla, ma anche di un adulto che sappia capire ciò che lo ha reso così “carico” e che, accanto a un fermo rimprovero, lo sappia aiutare a trovare altri modi per non arrabbiarsi così tanto.
È un po’ mammone
A quest’età è del tutto normale che il bambino sia particolarmente attaccato alla mamma: dopo le esplorazioni autonome condotte durante i mesi precedenti, sembra ora tornare frequentemente da lei non soltanto per ricevere conforto e sicurezza in ogni momento, ma anche per condividere con lei le nuove esperienze di vita. A volte, però, l’attaccamento del bambino può diventare davvero eccessivo: per esempio, si attacca alle gambe della mamma, tendendo disperato le braccia verso di lei, piange ogni volta che lei non c’è e quando la vede la ricopre di baci e di coccole. Una situazione che inevitabilmente mette in crisi anche la mamma, forse un po’ disorientata da un bambino che in alcuni momenti vuole essere tanto intraprendente e autonomo, mentre un attimo dopo le si attacca alle gambe pieno di scoramento. Può, quindi, sentirsi combattuta fra il senso di colpa, soprattutto se deve lasciare il bambino a qualcun altro, e il senso di oppressione in cui si sente intrappolata (i primi distacchi non sono faticosi solamente per il bambino, ma anche per la mamma).
Che cosa fare
Facilitare il distacco dalla mamma, rispettando l’oscillazione tra la voglia di andare e la paura a lasciare: a questo scopo occorre accompagnare il bimbo pian piano con piccole esperienze che lo abituino a “sperimentarsi” senza mamma per qualche momento, a scoprire che può farcela anche se lei non c’è e soprattutto a rassicurarsi che lei torna comunque sempre da lui. Per esempio, può essere utile uscire e lasciarlo più spesso con il papà che, in questo momento, gioca un ruolo di primo piano proprio per la sua possibilità di rendere più equilibrato il rapporto mamma-bambino.